Giovanni Matteo De Candia, in arte Mario, è una tra le figure più affascinanti dell’Ottocento. La sua storia è avventurosa e romantica, a tratti molto triste, tanto da ispirare la stessa figlia, Cecilia De Candia Pearse, a raccontarla nel suo romanzo The Romance of a great singer: a memoir of Mario, tradotta da Le Monnier, Firenze, nel 1913 come Romanzo di un celebre tenore: ricordi di Mario. Sebbene gli avvenimenti reali si discostino in parte da quelli del romanzo, è evidente la volontà di Cecilia di ricordare suo padre con quell’affetto che ogni figlia riserva nel suo cuore all’uomo più importante della sua vita, al suo eroe.
Discendente da una tradizione di pescatori di corallo stabilitisi ad Alghero sul finire del Settecento, Mario ereditò il titolo di Cavaliere Nobile da suo padre Stefano, valente generale del reggimento Cacciatori Guardie a servizio del re Carlo Felice. Il suo destino, quindi, sembrava segnato: avrebbe frequentato l’Accademia Reale di Torino ed avrebbe imboccato la strada della carriera militare. Passa la sua infanzia tra Cagliari, la Liguria e il Piemonte, ed ebbe fra i compagni di studi il futuro primo ministro, Camillo Benso conte di Cavour, e Alfonso Della Marmora.
Dopo gli studi in Accademia, mentre era di servizio come luogotenente nei Cacciatori Guardie, Mario contrasse alcuni debiti. Da qui maturò la decisione di diventare un cantante professionista. Lasciò la divisa e si imbarcò a Genova su una barca di pescatori diretta in Francia. Una fuga avventurosa, prima a Marsiglia e poi a Parigi, dove fu accolto dalla comunità degli esuli politici italiani. Qui cominciò a frequentare alcuni salotti della borghesia cittadina ed intrattenere gli ospiti con la sua bella voce. Tra questi, celebre era il salotto della principessa Cristina Belgioioso, dove cantava spesso e dove si discutevano le idee progressiste e liberali legate al clima politico della città . Artisti ed intellettuali come Chopin, Liszt, Rossini, Bellini, Balzac, George Sand erano solo alcuni degli abituali frequentatori del salotto parigino della principessa Belgioioso.
Naturalmente la professione di cantante non si addiceva ad un nobile cavaliere aristocratico, gettando nell’imbarazzo la famiglia che fin da subito osteggiò la sua decisione. Per mitigare l’opposizione paterna alla carriera nello spettacolo, al suo debutto ufficiale – avvenuto il 30 novembre 1838 – adottò un nome d’arte: Mario. Quando al padre giunse la notizia del debutto, egli si rivolse al re Carlo Alberto per impedirlo. Il re, tramite il console sardo a Parigi, propose a Giovanni Matteo la reintegrazione del grado. Ma il tenore non cambiò idea e continuò a perseguire il suo obiettivo. A questo punto il re fu costretto a prepensionare il generale Stefano De Candia, al tempo Governatore di Nizza, non potendosi dare che un alto funzionario del Regno di Sardegna avesse un figlio che cavalcava il palcoscenico. La notizia ebbe vasta eco nella stampa francese.
Fu il direttore dell’Opera di Parigi a contribuire in misura significativa al debutto di Mario, introducendo il giovane cantante al compositore Giacomo Meyerbeer,che in quegli anni lavorava alla sua opera Robert le diable.
Nel 1839 Mario cantò all’ Her Majesty’s Theatre di Londra nella Lucrezia Borgia di Donizetti ed ebbe per la prima volta come colleghi Antonio Tamburini e la futura compagna Giulia Grisi, con la quale intrecciò una relazione amorosa durata fino alla morte di lei. Nonostante l’immediato successo dovuto alla sua voce e all’elegante presenza scenica, Mario decise di non restare all’Opera e passò al Theatre Italien, dove si esibivano regolarmente cantanti illustri come Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini e Luigi Lablache. La calorosissima accoglienza che Mario ricevette nelle opere italiane superò quella che aveva avuto nelle opere francesi ed egli acquisì in fretta una fama a livello europeo per la bellezza del suo canto e l’eleganza del suo portamento. Aveva un bel viso, lineamenti delicati, una figura snella e una bella voce lirica. Le donne facevano a gara per sentirlo cantare.
La sua fama raggiunse in breve tempo l’Italia, dove non cantò mai, ma nella quale Giuseppe Verdi scrisse per lui una cabaletta nuova nella principale aria tenorile de I due Foscari per la messa in scena parigina. Nella seconda parte della sua carriera affrontò con successo il repertorio verdiano cantando in opere prestigiose quali Il Rigoletto, Il trovatore,La Traviata e Un ballo in maschera, che presentò in prima esecuzione in Francia. La carriera artistica di Mario si intrecciò costantemente con l’impegno politico a favore della causa risorgimentale italiana. La conoscenza con Giuseppe Mazzini, avvenuta a Londra, probabilmente intorno al 1840, avvicinò il giovane tenore agli ideali patriottici. Dopo il fallimento dei moti del 1848 molti italiani, tra cui Mazzini e Garibaldi, furono costretti a nascondersi. Le dimore che Mario possedeva a Parigi e Londra diedero rifugio ad alcuni esuli politici, tra cui Daniele Manin, diventando, in alcuni periodi dei veri e propri uffici organizzativi a servizio della causa risorgimentale italiana. Il suo contributo non si limitò però a garantire ospitalità ad amici e compagni, ma si estese al finanziamento di alcune celebri imprese, tra cui quella dei Mille.
Sebbene avesse fatto a sua madre la promessa di non cantare mai in Italia, la sua terra dovette mancargli sempre. Tornò fugacemente a Cagliari nel 1848 e nel 1852 acquistò la principesca villa Salviati sulle colline di Fiesole, dove negli anni a venire ricevette molte distinte figure della cultura e dell’aristocrazia europea. Dalla relazione con la Grisi nacquero sei figlie, tre delle quali morirono bambine. Nel 1869 la Grisi si spense a Berlino durante un viaggio verso la Russia. Nell’ultima stagione a Pietroburgo le figlie furono affidate a tutori scelti dalla loro madrina, la duchessa di Leuchtenberg, presidente dell’Accademia Russa di Belle Arti.
Dopo un’ulteriore parentesi americana, Mario diede ufficialmente l’addio alle scene nel 1871. Fece ritorno in Italia, ormai unificata da dieci anni, e si stabilì a Roma.
L’ultima fase della sua vita fu difficile. Aveva contratto numerosi debiti e dissipato il patrimonio a causa di affari sballati, della sua generosità e delle spese stravaganti. Una pensione fornitagli dagli amici inglesi gli consentì una vita decorosa. Si sentì sempre un mecenate, e raramente rifiutò di finanziare iniziative di ogni genere, politiche, artistiche, musicali. Persino la banda musicale di Cagliari si rivolse al tenore ed ottenne dei soldi per acquistare gli strumenti. Morì l’11 dicembre del 1883, in ristrettezze economiche. Volle essere sepolto a Cagliari, dove nel 1844, aveva fatto costruire una cappella per sé e per i suoi nel Cimitero Monumentale di Bonaria.
Il governo italiano provvide ai funerali, mettendo a disposizione una corazzata per il trasporto in mare della salma. Ma nella sua città natale, purtroppo, Mario è stato dimenticato. Gli è stata intitolata una via a ridosso del palazzo costruito dal fratello Carlo e gli è stato dedicato l’elegante caffè nell’omonima via del quartiere Castello, ma si è fatto e si continua a fare poco per conservarne la memoria.
Un sincero ringraziamento va al prof. Felice Todde, i cui spunti sono stati preziosi per la redazione di questa sintesi.