Tra Settecento ed Ottocento alcuni scienziati dedicarono la propria vita e le proprie ricerche ad una forma particolare di conservazione dei resti anatomici che prese il nome di “pietrificazione”. Si trattava di una tecnica particolare che, secondo le cronache del tempo, risultava a metà strada tra medicina ed alchimia.
Ma chi erano i “pietrificatori” e cosa li spingeva ad intraprendere questa bizzarra professione? Si tratta di medici, paleontologi, naturalisti, chimici che misero al servizio della scienza la loro visione avanguardista, spesso non esenti da critiche e denigrazioni, emarginati o semplicemente guardati con sospetto. Persuasi che l’arte della pietrificazione potesse essere usata per fini didattici in un’epoca in cui non esistevano celle frigorifere e i cadaveri si decomponevano velocemente, furono però vittime della loro stessa ambizione, contraddicendo il principio della divulgazione che sta alla base di ogni ricerca: morirono soli, spesso in disgrazia, portando nella tomba i segreti dei loro “corpi di pietra”.
Il primo e il più importante tra i pietrificatori fu il bellunese Girolamo Segato che diede avvio ad una vera e propria corrente scientifica che a lui si ispirò per portare avanti le ricerche e perfezionare la tecnica. Cartografo, naturalista, viaggiatore, egli fu uno spirito eclettico, figlio della cultura illuminista del Settecento che portava gli uomini a voler conoscere, scoprire, classificare ed analizzare ogni aspetto del mondo con occhio razionalista e dissacratore. Studioso di chimica e di mineralogia, fin da giovanissimo Segato cominciò a raccogliere cadaveri di piccoli animali oppure elementi naturalistici come foglie, cortecce, che trovava lungo il cammino tra i sentieri delle Dolomiti che era solito frequentare fin da bambino. La passione per la natura in tutte le sue forme si coniugava con la passione per l’Oriente. Imbarcatosi per l’Egitto, a partire dal 1818 si trovò ad esaminare e studiare numerose mummie, dalle quali trasse ispirazione per la formulazione di alcune teorie relative al processo chimico utilizzato dagli egizi per la mummificazione. L’esperienza in Egitto fu fondamentale e diede un impulso straordinario al suo lavoro. Così, una volta tornato in Italia, nel 1823, Segato si stabilì a Firenze e cominciò a sperimentare diverse tecniche di imbalsamazione. Elaborò una tecnica nota come “mineralizzazione”, che utilizzava per conservare i suoi preparati anatomici, preservando talvolta il colore naturale e l’elasticità dei tessuti.
Lo si vede molto bene nel busto femminile che mostra, in buono stato di conservazione, le mammelle avvolte da un fazzoletto di seta. Ma uno dei lavori più accurati fu il cosiddetto “tavolo di carne”, che conteneva oltre 200 parti anatomiche pietrificate e incastonate nel legno, come a formare una tarsia geometrica. Ma se l’ambiente scientifico guardava a lui con ammirazione e rispetto, le persone comuni cominciarono a etichettarlo come un mitomane e uno stregone. Di lui si diceva che avesse appreso la tecnica della mineralizzazione attraverso formule magiche decifrate nelle piramidi. Ma affamato di sapere e assetato di spirito di rivalsa, Segato non si arrese, continuando a sperimentare e cercare finanziatori.
Con l’obiettivo di ottenerne il favore fece dono del prezioso tavolino al Granduca di Toscana. Quest’ultimo, tuttavia, rifiutò di sostenerlo economicamente, provocando lo sdegno dello scienziato che, colto dall’ira, bruciò tutti i suoi appunti e le sue carte.
Dopo aver tentato invano di trovare altri finanziatori e profondamente combattuto se rivelare la formula di sua invenzione ad amici scienziati, la morte lo colse improvvisamente a soli 44 anni.
Fu sepolto nella Basilica di Santa Croce a Firenze, dove, un evocativo epitaffio racconta i fasti dello scienziato e al tempo stesso i limiti dell’uomo.
“Qui giace disfatto Girolamo Segato, che vedrebbesi intero pietrificato, se l’arte sua non periva con lui. Fu gloria insolita dell’umana sapienza, esempio di infelicità non insolito”
Di poco più giovane di Segato, Giovan Battista Rini era un chirurgo originario di Salò che, esattamente come il suo predecessore, si dedicò alla sperimentazione di alcune tecniche di mineralizzazione. In particolare gli studi recenti ai raggi x hanno rivelato l’utilizzo di un composto chimico costituito da mercurio, arsenico, bario e arsenico, impiegati per preservare il sistema sanguigno e i tessuti.
Largamente influenzato dalle ricerche di Segato fu Paolo Gorini del quale, a differenza degli altri “pietrificatori”, si conoscono alcuni dei procedimenti utilizzati, di cui rimane traccia nei suoi scritti. Sappiamo che Gorini utilizzava varie tecniche, ma la formula base, poi declinata secondo vari procedimenti, consisteva nell’iniettare bicloruro di mercurio e muriato di calce nell’arteria femorale. I liquidi biologici deterioranti e deteriorabili (urina, sangue, ecc) venivano sostituiti con elementi chimici conservanti. Il processo, tuttavia, era estremamente tossico per chi lo praticava. Gorini si occupò di matematica, vulcanologia, geologia sperimentale, conservazione delle salme (imbalsamando quelle illustri di Mazzini e di Rovani) ma anche della progettazione di uno dei primi forni crematori italiani. Schivo ed eccentrico, ricavò il suo laboratorio da una vecchia chiesa sconsacrata, incarnando perfettamente la figura dello “scienziato pazzo”, amato e temuto al tempo stesso. Proprio a causa dei suoi misteriosi procedimenti e delle segretissime formule in grado di “pietrificare” i cadaveri, la vita di Paolo Gorini è stata spesso offuscata da un alone di leggenda.
Dei suoi preparati oggi si conservano corpi interi, teste, neonati, giovani donne, contadini conservati in gran parte a Lodi, in un piccolo museo che raccoglie la collezione anatomica “Paolo Gorini”, donate dagli eredi all’Ospedale Maggiore della città . La collezione raccoglie 166 preparazioni anatomiche divise in due categorie: i preparati “a secco”, ovvero parti anatomiche non immerse nell’alcool aventi finalità didattica, e le “pietrificazioni” che hanno uno scopo estetico e conservativo.
Caso tutto locale, cagliaritano di nascita e riluttante a conformarsi agli schemi del perfetto uomo accademico timorato di Dio, Efisio Marini fu il più ossessionato imitatore di Girolamo Segato. Dedicò la sua vita al perfezionamento di una tecnica di sua invenzione che, prendendo spunto dalle ricerche di Segato, riusciva a pietrificare addirittura il sangue. Curioso l’aneddoto che racconta come, venuto in possesso del sangue di Giuseppe Garibaldi raccolto sull’Aspromonte, lo solidificò e lo plasmò facendone un medaglione che poi regalò a Garibaldi stesso, il quale lo ringraziò con lettera ufficiale. Inventò sia una tecnica per pietrificare i corpi, sia la formula reversibile per riportarli allo stato flessibile. Tormentato dalla paura di essere dimenticato e al tempo stesso geloso custode dei suoi più oscuri segreti, Marini portò con sè il mistero delle sue scoperte. Morì solo e in disgrazia a Napoli, dove si era trasferito a seguito di un ricatto propostogli dall’ambiente accademico cagliaritano, il quale gli promise la cattedra soltanto a patto che rivelasse la sua formula segreta.
Una menzione speciale merita, infine, la figura di Oreste Maggio, il medico che, dopo essersi dedicato a lungo alla pietrificazione, improvvisamente decise di distruggere le sue carte. Si ritiene che all’origine di questa scelta ci fu una vera e propria crisi di coscienza dovuta all’inconciliabilità tra la sua fede cattolica e la scienza, che si adoperava per evitare il naturale e “divino” disfacimento organico.
Per quanto oggi risulti assurdo e inquietante pensare alla pietrificazione come ad un’abile arte a servizio della scienza, essa rimane l’affascinante simbolo di un’epoca ricca di contraddizioni: la scienza e la fede, la vanità e il grottesco, il progresso e l’attaccamento al passato.
Riferimenti Bibliografici
Ulteriori approfondimenti