Quando si dice Sant’Efisio ai sardi viene in mente la celebre festa del 1 Maggio, vantando perfino la presentazione della candidatura come patrimonio immateriale dell’Unesco.
Ma Sant’Efisio, il martire guerriero che liberò la Sardegna dal temibile flagello descritto dal Manzoni ne “I Promessi Sposi”, fu a lungo venerato anche a Pisa, che ha rivendicato il possesso delle sue reliquie per oltre otto secoli. Queste, infatti, furono custodite all’interno della Cattedrale di Santa Maria Assunta in Piazza dei Miracoli fino al 2011, dando origine al culto di Sant’Efisio anche a Pisa. Ma non solo. La città con la torre pendente vanta l’unica rappresentazione iconografica sulla vita del santo, affrescata da Spinello Aretino nel Camposanto Monumentale di Pisa.
La risposta arriva da un interessante ciclo di incontri tenuti qualche anno fa presso il Museo Archeologico di Cagliari, nei quali si è dato ampio spazio ad una rilettura inedita della figura del santo più venerato nell’isola attraverso contributi preziosi che spaziavano dall’agiografia alla storia, con una serie di focus tematici. Gli atti del convegno, inserito nella mostra “Efisio. Martirizzato dai romani, santificato dai cristiani, venerato dai contemporanei” sono stati raccolti in un volume curato dall’ex direttore Roberto Concas, Manuela Puddu e Anna Maria Marras che raccoglie al suo interno i saggi proposti dai ricercatori intervenuti nelle diverse giornate.
Tra questi, in particolare, l’intervento del dott. Alberto Virdis, il quale ha affrontato il tema degli affreschi pisani in un intervento dal titolo “Il ciclo di affreschi di Spinello Aretino nel Camposanto Monumentale di Pisa”, aprendo con una domanda, che in realtà ha stimolato una vera e propria riflessione: perché Efisio è il Santo più venerato in Sardegna ma non esistono testimonianze iconografiche relative al Medioevo?
Secondo quanto riportato nella “Passio Sancti Ephysii”, Efisio fu martirizzato a Nora nel 303. Sul luogo del martirio fu eretto un santuario, costruito al fine di conservarne le reliquie. Queste si trovavano custodite insieme a quelle di un altro santo, Potito di Sofia (attuale Bulgaria).
Tra l’VIII e il XII secolo, quando le continue scorrerie saracene sulle coste sarde avevano minacciato più volte la sicurezza dei villaggi e dei luoghi sacri, molte località costiere furono abbandonate. Tra queste, con buona probabilità, anche Nora. Celebri, nelle cronache, risultano i tentativi di incursione del 1015-1016 ad opera del celebre pirata “Museto”, che fu fermato dalle navi pisane accorse in aiuto dei sardi.
Nel 1089 il giudice di Cagliari Costantino Salusio II de Lacon-Gunale cominciò a donare ai monaci benedettini dell’abbazia di San Vittore di Marsiglia, detti Vittorini, alcuni edifici religiosi, tra cui il San Saturnino di Cagliari, il Sant’Antioco di Sulci e il Sant’Efisio di Nora. I monaci si occuparono di restaurare gli impianti martiriali secondo gli stilemi del nascente Romanico e, con molta probabilità, di diffondere e rafforzare i culti ad essi collegati, molti dei quali, col tempo, erano forse caduti in disuso. Tra questi potrebbe esserci il culto di Sant’Efisio, le cui prime attestazioni cominciano proprio nel lasso di tempo a cavallo tra l’XI e il XII secolo.
A questo punto, però, la storia si interrompe, lasciando spazio a tanti interrogativi: quando i Vittorini presero possesso della chiesa di Sant’Efisio di Nora, dove si trovavano le reliquie del martire? Quando e come sono arrivate a Pisa e perché? I pisani le trafugarono oppure le traslarono per proteggerle?
Si tratta di domande cruciali, perché si legano ad una fase storica importante per la Sardegna, ancora retta dall’organizzazione giudicale e non ancora minacciata dalla presenza pisana. Alcune fonti riferibili al XVII e al XIX secolo riferiscono che la traslazione delle reliquie sia avvenuta nel 1088 e la prima attestazione documentaria delle reliquie del santo a Pisa si data al 1119. Si tratta, quindi, di un lasso di tempo abbastanza ampio nel quale ancora oggi gli studiosi si trovano a delineare varie ipotesi.
Una tra le più accreditate è quella secondo cui il trasferimento delle reliquie sia avvenuto prima dell’insediamento dei Vittorini, i quali difficilmente avrebbero acconsentito a privarsene. Potrebbe essere quindi valido il 1088 come anno della traslazione, come riportato nelle cronache seicentesche. Tuttavia, nell’incertezza di stabilire se le reliquie fossero custodite a Nora, viene avanzata l’ipotesi che queste fossero già state trasferite a Cagliari in tempi precedenti per proteggerle da eventuali furti.
Nel 1263 l’arcivescovo di Pisa Federico Visconti, in visita a Cagliari, menziona infatti un luogo di culto intitolato a Sant’Efisio nella “villa de Stampace”. L’esistenza del culto a Cagliari potrebbe essere spiegata con la presenza delle reliquie già in tempi precedenti. Nel 1258 i Pisani avevano raso al suolo l’antica capitale del Giudicato di Cagliari, Santa Igia, comportando un graduale popolamento dei quartieri a ridosso del Castello che, secondo il resoconto dell’arcivescovo Visconti, risultano densamente popolati.
Si ignora, quindi, la ragione del trasferimento delle reliquie per mano dei Pisani, ovvero se questo sia avvenuto per la volontà di proteggerle o per quella di appropriarsene. Ad ogni modo, giunti in Toscana, i resti dei Santi Efisio e Potito furono sistemati all’interno della Cattedrale di Santa Maria Assunta e, tra il 1119 ed il 1124, Papa Callisto II in loro onore consacrò due altari. Successivamente, nel 1245 l’Arcivescovo Guidi ne consacrò un terzo nel Palazzo Arcivescovile. Ancora, al XIV secolo risalgono due antifonari miniati che raffigurano i due santi. Un inventario del 1369, inoltre, menziona un reliquiario d’argento dorato a forma di campanile che custodiva le reliquie del Santo.
Secondo quanto afferma Alberto Virdis, dalla significativa assenza di rappresentazioni iconografiche e testimonianze documentarie relative al culto di Sant’Efisio in Sardegna nel Medioevo, si potrebbe dedurre che Pisa abbia sottratto alla Sardegna non solo le reliquie, ma la stessa devozione per il santo, il cui culto si sarebbe progressivamente affievolito. Ma se in Sardegna la devozione verso Sant’Efisio si interrompe, questa risulta quanto mai viva nella città toscana.
Perché, dunque, i Pisani importarono in patria un culto non locale?
Probabilmente, appropriarsi delle reliquie di un santo venerato in Sardegna, faceva parte di un preciso disegno politico di supremazia atto a ricordare ai posteri l’importanza determinante di Pisa come potenza marittima ed il suo ruolo egemone nei confronti della Sardegna.
Non è un caso che nel 1312 il pulpito del Maestro Guglielmo, che fino ad allora aveva ornato l’interno del Duomo di Pisa, venisse smontato e rimontato all’interno della Cattedrale di Cagliari per far posto al nuovo pulpito di Giovanni Pisano. E non è una coincidenza nemmeno il fatto che, sempre nel corso del XIV secolo, sulla facciata del duomo di Pisa, fu collocata l’epigrafe celebrativa delle vittorie pisane del 1016 contro i Saraceni, per i quali la Sardegna sarebbe dovuta essere sempre debitrice nei confronti della città. Tutte azioni rafforzative della superiorità pisana rispetto alla Sardegna, che proprio nel corso del XIV secolo veniva riconfigurata secondo il disegno di espansione catalana e la politica di resistenza arborense.
A sostenerlo è anche Maurizia Tazartes nel suo saggio “Due santi inventati: le storie di Efisio e Potito nel Camposanto di Pisa”. La studiosa, oltre a mettere in dubbio l’effettiva esistenza dei due martiri sulla base delle rocambolesche vicende narrate nella “Passio”, sostiene che le ossa traslate fossero un pretesto per celebrare le vittorie pisane sui saraceni, richiamate negli affreschi del Camposanto da numerosi particolari.
Gli affreschi di Spinello Aretino nel Camposanto Monumentale di Pisa offrono diverse immagini di Sant’Efisio, con perfetta aderenza a quanto riportato nella “Passio. Gli affreschi, realizzati tra il 1390 e il 1391, costituiscono, come si è detto, l’unica raffigurazione della leggenda agiografica del santo. Il ciclo descrive, in tre grandi riquadri, sei scene della vita e della passione di Sant’Efisio, accuratamente scelte fra i diversi episodi offerti dalla “Passio”, dagli anni giovanili come soldato romano, prima della conversione al Cristianesimo, al momento del martirio. Nell’ultimo riquadro è ancora parzialmente leggibile la scena in cui i due corpi dei martiri vengono traslati dalla Sardegna a Pisa attraverso un battello.
Il 19 giugno 1614 l’arcivescovo Gavino Manca de Cedrelles, imparentato con le principali famiglie aristocratiche del tempo, promosse una campagna di scavo nei pressi della basilica di San Gavino di Porto Torres, facendo arrivare da Genova maestranze specializzate e chiamando gli esperti gesuiti Diego Pinto e Giovanni Barba, particolarmente competenti come epigrafisti. Ma non si limitò a fare da osservatore, lui stesso partecipò agli scavi fino alla scoperta dei tre corpi santi dei martiri Gavino, Proto e Januario. A quel punto l’arcivescovo di Cagliari, Francisco D’Esquivel, diede avvio ad un’altra campagna di scavo a Cagliari, con l’obiettivo di strappare alla diocesi turritana il prestigioso primato.
Da tempo le due diocesi si contendevano il ruolo di primaziale di Sardegna, e la nomina dell’arcivescovo Gavino Manca de Cedrelles rappresentava un ostacolo. Una buona strategia per strappare alla diocesi turritana il prestigio derivato dal Cedrelles si rivelò la ricerca “los cuerpos santos”.
Le campagne di scavo, pienamente inserite nello spirito riformista della Chiesa post tridentina, contribuivano notevolmente ad incentivare un sentimento di devozione popolare che si era ormai quasi del tutto perso. La presenza di santi martiri o presunti tali in aree funerarie romane e paleocristiane, non solo era interpretato come un segno divino, ma rappresentava un momento molto sentito dai fedeli coinvolti negli scavi. Al ritrovamento delle reliquie seguiva sempre una cerimonia solenne che era capace di commuovere e coinvolgere più di qualsiasi evento liturgico. In questo clima di ricerca e devozione, i confratelli di Sant’Efisio chiesero alle autorità religiose di poter indagare l’ipogeo della chiesa di Sant’Efisio a Stampace, non per ritrovare le spoglie del martire guerriero che, come si è detto, erano state traslate nel corso dell’XI secolo, ma per ricercare le reliquie di altri martiri.
Nel 1616 fu rinvenuta una sepoltura scavata nel pavimento di terra battuta con uno scheletro che i confratelli attribuirono al martire Edizio, soldato al seguito di Sant’Efisio. Pochi anni dopo, l’identificazione fu confermata dal rinvenimento di un’iscrizione su una lastrina marmorea che recitava “B.M. EDITIUS”, ossia “Bonae Memoriae Editius”. Da quel momento l’ipogeo fu ritenuto il luogo di prigionia di Efisio prima che questi fosse deportato a Nora e decapitato.
Il culto verso il santo tornò quindi a riemergere con un intenso e rinnovato vigore. Non è casuale, quindi, che in un momento di grande sconforto come quello provocato dalla terribile epidemia di peste che colpì l’isola alla metà del XVII, la municipalità di Cagliari si sia appellata a Sant’Efisio. Era l’11 luglio del 1652 e la Municipalità di Cagliari espresse un Voto con cui si impegnava a tributare ogni anno una processione in suo onore. Il documento originale del Voto del 1652 della Municipalità è oggi custodito presso l’Archivio storico di Cagliari.
Il 1 maggio del 1657 avvenne la prima solenne processione per lo scioglimento del Voto: il simulacro del Santo venne trasportato fino alla chiesetta di Nora, accompagnato dalle autorità cittadine e dai rappresentanti di tutti i paesi liberati dal morbo.
Nel 1886 una parte delle reliquie del santo tornò in Sardegna, a seguito di un accordo tra le arcidiocesi di Cagliari e Pisa. L’arcivescovo di Cagliari Monsignor Berchialla e l’Arcivescovo di Pisa Monsignor Capponi stabilirono che Cagliari avrebbe ceduto a Pisa le reliquie di San Ranieri, custodite nella cripta dei Martiri nel Duomo, e Cagliari avrebbe riavuto in cambio parte delle reliquie di Sant’Efisio.
Queste giunsero a Cagliari il 29 aprile 1886 con il piroscafo Arabia proveniente da Livorno. Fu un avvenimento storico sentito e partecipato da migliaia di persone provenienti da tutta l’isola. Le reliquie furono conservate in un tempietto ligneo e collocate nell’altare maggiore della Chiesa di Sant’Efisio a Cagliari.
Una seconda parte delle reliquie giunse a Cagliari nel 2011 dietro dono dell’Arcidiocesi di Pisa al 151esimo Reggimento Fanteria della Brigata Sassari, di stanza nella caserma Monfenera di viale Poetto.
Il prezioso reliquiario in argento realizzato per mano dell’orafo cagliaritano Francesco Busonera viene portato in processione dal 151° Reggimento Fanteria e precede il cocchio del Santo per tutto il tragitto dalla chiesa di Stampace a quella di Giorgino.
Oggi l’altare di Sant’Efisio a Pisa è detto altare di San Ranieri, perché, dopo la traslazione a Cagliari delle spoglie di Efisio, vi vennero custodite le spoglie di San Ranieri.
A. Virdis, Sant’Efisio: il culto, la leggenda e le immagini nel Medioevo, fra la Sardegna e Pisa
A. Virdis, Il ciclo di affreschi di Spinello Aretino nel Camposanto Monumentale di Pisa
R. Martorelli, Il ruolo delle isole maggiori e minori nella diffusione del culto dei santi. Dinamiche e modalità di circolazione della devozione
R. Martorelli, Martiri e devozione nella Sardegna altomedievale
R. Coroneo, Architettura e scultura dalla metà del Mille al primo 300
M. Tazartes, Due santi inventati: le storie di Efisio e Potito nel Camposanto di Pisa.
http://www.cagliariturismo.it/it/eventi-speciali/363-festa-di-sant-efisio-61