Entrando nel borgo si avverte da subito un’aura di malinconia e mistero che il silenzio sembra rendere più densa man mano che si passeggia tra le ripide e strette viuzze in acciottolato che conducono alle poche case ancora intatte. Casette in pietra con tetti a spioventi coperti da tegole d’argilla, finestre incorniciate d’azzurro, qualche vaso di fiori, comignoli e forni a legna emergono da una vegetazione incolta e rigogliosa. Pochissimi anche gli abitanti, appena più di venti anime.
Gli anziani rimasti raccontano una leggenda legata ad un’antica maledizione: alcune monache francescane del monastero di Santa Maria Maddalena – oggi scomparso – furono accusate di intrattenere rapporti intimi con i pastori locali e per questo costrette ad abbandonare il villaggio. Ma la loro espulsione fu accompagnata da una dura maledizione che esse stesse scagliarono contro il paese e i suoi abitanti:
“Lollove, sarai come l’acqua di mare, non crescerai né mostrerai di crescere mai”
A quanto pare, col tempo la leggenda sembra essere divenuta realtà: il borgo è rimasto piccolissimo, pur resistendo alla scomparsa grazie alla volontà dei pochi abitanti, da sempre dediti all’ agricoltura e all’allevamento.
Una sorte analoga è toccata al borgo di Rebeccu, frazione del comune di Bonorva in provincia di Sassari, anch’esso condannato da una maledizione a non crescere mai di numero. Oggi totalmente disabitato, il borgo di Rebeccu sorse in epoca medievale e nel corso del XV secolo vide cominciare un inarrestabile declino dovuto a pestilenze e carestie generate, si dice, dalla “maledizione delle trenta case”. A scagliare l’anatema fu la principessa Donoria, figlia del re Beccu, da cui il nome del paese, che fu accusata di stregoneria e giustiziata. Colta dall’ira ella scagliò la maledizione secondo cui il paese non avrebbe mai superato le trenta abitazioni:
“Rebeccu, Rebecchei, da’e trinta domos non movei”
Sarà per le leggende e i racconti popolari che su di essi si tramandano, eppure questi borghi “fantasma” possiedono un fascino senza tempo.
Nel corso del XIX e XX secolo, il mistero di Lollove ha ispirato artisti e scrittori, tra cui Sebastiano Satta e, soprattutto, Grazia Deledda che nel 1920 lo scelse come ambientazione del suo romanzo “La madre”.
L’opera, che ha dato a sua volta ispirazione a film ed opere teatrali, è incentrata proprio sulla storia proibita tra un giovane prete, Paulo, e la bella Agnese, come a ribadire l’aura peccaminosa e oscura del borgo.
Comune a sé fino alla metà dell’Ottocento, oggi Lollove è l’unica frazione del capoluogo, pur distando da esso di circa 16 km. Negli anni Cinquanta del Novecento contava oltre 400 abitanti, ma oggi si anima soltanto nelle feste religiose: l’antica patrona santa Maria Maddalena (a fine luglio), l’attuale patrono san Biagio (a inizio febbraio), san Luigi dei Francesi (a fine agosto) e sant’Eufemia (a metà settembre). Anche a Novembre il borgo si accende, in occasione della rassegna Autunno in Barbagia dove, insieme alle pratiche e ai lavori artigianali, vengono mostrate le antiche case, che sembrano riprendere vita come nella sequenza di un film in bianco e nero.
Riferimenti bibliografici