Pare che il drammaturgo siciliano avesse cominciato a pensarci già da tempo, ma riuscì a pubblicare il romanzo “Suo marito” soltanto nel 1911. Ad ispirarlo fu il rapporto da lui ritenuto paradossale tra la scrittrice sarda futura vincitrice del Nobel Grazia Deledda e, appunto, suo marito Palmiro Madesani.
Non aveva mai fatto mistero, Pirandello, della sua disapprovazione verso il sodalizio professionale tra Grazia Deledda e Palmiro Madesani, arrivando a costruire proprio sulla caricatura di quest’ultimo il personaggio del suo romanzo, poi ripubblicato con il titolo di “Giustino Roncella nato Boggiolo”.
Grazia e Palmiro si erano conosciuti a Cagliari, durante una festa mondana. Dopo soli due mesi di corteggiamento, lei accettò di diventare sua moglie. Si sposarono a Nuoro l’11 Gennaio del 1900, per poi in seguito trasferirsi a Roma. Da qui il successo letterario con romanzi che trovarono floridi echi e felici spunti nel cinema e nel teatro. Celebre il romanzo “Cenere” che Eleonora Duse, nota attrice teatrale, scelse come sua unica interpretazione per il cinema.
All’epoca in cui si conobbero, Palmiro lavorava come funzionario del Ministero delle Finanze. Di lei lo colpirono il carattere schietto e determinato e quell’aria severa e al tempo stesso gentile che mostrava con timidezza. E lo colpì il talento di scrittrice, quella passione alla quale lei non poteva nè voleva sottrarsi e che aveva cominciato a coltivare fin da bambina nella sua Nuoro. Per dedicarsi all’attività di agente letterario della moglie, Palmiro lasciò il suo lavoro e condivise con lei il successo della carriera, compreso il viaggio a Stoccolma per ritirare il premio nobel per la letteratura nel 1927. Alle soglie del XX secolo, quando le donne non potevano certo vantare una carriera, il fatto che questa diventasse addirittura più importante di quella di un uomo dovette destare molto stupore. Ma a reagire con sarcasmo, mettendo in ridicolo Madesani affinchè la sua patetica figura risaltasse agli occhi di tutti, fu Luigi Pirandello. Anche lui vinse il Nobel per la letteratura, ma nel 1934, sette anni dopo Grazia.
In una lettera datata 18 Dicembre 1908, Pirandello annunciava all’amico Ugo Ojetti la sua intenzione di inviare alla casa editrice Treves il romanzo “Suo marito”. “Son partito dal marito di Grazia Deledda. Lo conosci? Che capolavoro, Ugo mio! Dico, il marito di Grazia Deledda, intendiamoci” E se la Treves rifiutò di pubblicare il romanzo, nel 1911 la casa editrice Quattrini di Firenze non si tirò indietro.
Il romanzo racconta la storia di Giustino Boggiolo, un impiegato di modesta cultura che sposa la giovane scrittrice Silvia Roncella e, dopo che questa diventa famosa, rivela uno straordinario fiuto negli affari, prendendo le iniziative di contratto con gli editori, i critici, i giornalisti, i traduttori e il pubblico, per pubblicizzare la produzione letteraria della moglie. Ma questa frenetica attività lo espone non solo alla malignità dei colleghi, che lo ridicolizzano appioppandogli il nomignolo di Roncello e facendogli trovare i biglietti da visita intestati a Giustino Roncella nato Boggiolo, ma Silvia, che vede il ridicolo della situazione, si distacca sempre più dal marito e si separa da lui, cedendo al corteggiamento di un maturo scrittore. La storia finisce nel dramma interiore di entrambi, chiusi nella propria tragica tristezza esistenziale.
Come reagì Grazia Deledda? All’indomani della pubblicazione del romanzo era furente di rabbia e, da sarda che si rispetti, se la legò al dito! Opponendosi alla riedizione del romanzo, ne impedì di fatto le successive pubblicazioni. Il romanzo, infatti, fu pubblicato nuovamente nel 1941, postumo ed incompiuto. Ma non fu tutto. Nel 1934 si oppose, anche se invano, alla candidatura di Pirandello per il Nobel. L’opposizione di Grazia derivava dal timore effettivamente giustificato che, sebbene si trattasse di uno spunto, il pubblico avrebbe letto il romanzo non tanto con spirito critico e in ottica letteraria, ma con malizia e irriverenza.
In tutta questa strana vicenda, il colmo fu che lo scrittore siciliano accusò la Deledda di aver strumentalizzato il romanzo e scrisse nuovamente all’amico Ojetti: “Ti assicuro, mio caro Ugo, che è una persecuzione ingiustissima! […] Che povertà di spirito, che angustia mentale in quella Deledda! Non capire che reagendo così stuzzica peggio la curiosità morbosa di questo sporco e meschino cortile di pettegolezzi che è il nostro odierno mondo letterario!”
Ma come mai Pirandello era tanto infastidito da questa vicenda? Semplice invidia verso Grazia Deledda oppure questo sarcasmo celava ragioni più profonde? La scrittrice Rossana Dedola, nel suo saggio “Grazia Deledda: i luoghi, gli amori, le opere”, ritiene che Pirandello rimase colpito dal rapporto “moderno” che i due esibivano con compostezza e disinvoltura negli ambienti mondani. Lui che, al contrario, viveva intrappolato in un matrimonio che sembrava non rendere felice nè se stesso nè la moglie Antonietta Portulano, che aveva sposato nel 1894. Tra i due un rapporto di comunicazione labile, se non addirittura assente. Pirandello parlava a malapena con sua moglie, forse non ritenendola in grado di comprendere nè i problemi legati alla sua attività di scrittore nè quelli legati al suo lavoro di insegnante di linguistica e stilistica presso l’Istituto Superiore di Magistero femminile a Roma. Col tempo, probabilmente, questa situazione degenerò al punto che Antonietta impazzì, fino ad essere internata nel 1919.
La questione tra Grazia e Pirandello, ad ogni modo, non si risolse mai e risulta che tra i due non ci sia mai stato un chiarimento. E a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, si spensero nel ricordo fresco del Nobel, entrambi a Roma: la Deledda il 16 agosto 1936, stroncata da un tumore al seno, Pirandello il 10 dicembre successivo, a causa di una polmonite.