Il Sacco di Roma
Era il 6 Maggio 1527 quando le truppe dei Lanzichenecchi, composte da diecimila soldati mercenari arruolati nell’esercito dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, saccheggiarono Roma lasciando dietro di sé un terribile bilancio di morte e distruzione. Alle morti provocate dai soldati, si aggiunsero quelle procurate dall’epidemia di peste portata dagli invasori per un totale di circa cinquantamila anime.Il “Sacco di Roma” fu il più violento che la città avesse mai conosciuto, al punto da mettere in ombra quelli compiuti in tempi più lontani dai terribili Unni, i quali, tuttavia, mostrarono rispetto verso i luoghi di culto. Stavolta, invece, perfino la Basilica di san Pietro, simbolo del Cristianesimo fin dalle origini, fu ridotta ad un cumolo di polvere e macerie. Nella sua “Storia d’Italia, Francesco Guicciardini scrive:
“Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de’ santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de’ loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de’ soldati (che furono le cose più vili) tolseno poi i villani de’ Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore”.
Tesori d’arte, oggetti sacri, dipinti e preziose reliquie vennero distrutti, trafugati e portati lontano da Roma. Tra queste il celebre velo della Veronica, un sudario di lino nel quale si diceva essere impresso il volto di Gesù Cristo. Dallo stesso appartamento privato del papa Clemente VII furono asportati arredi e oggetti sacri. Trascorse molto tempo prima che parte di questo enorme patrimonio materiale fosse recuperato e reintegrato nei luoghi d’origine o perché fosse donato alla comunità come pegno di riconoscenza. Una di queste vicende lega Roma a Cagliari ed è narrata in una serie di documenti custoditi nell’Archivio del Capitolo Metropolitano di Cagliari e datati tra il 1527 e il 1529.
Da Roma a Cagliari: l’arrivo delle reliquie
Dai documenti si apprende una storia incredibile che si ripete ancora oggi, rinnovando una tradizione di oltre quattrocento anni.Nel settembre del 1527 approdarono al porto di Cagliari due navi partite da Gaeta. Giunte poco lontano dalla Sardegna, le due navi incontrarono una terribile tempesta. Spaventati dalla loro possibile fine, alcuni viaggiatori comunicarono ai religiosi presenti nell’imbarcazione di avere con sé delle reliquie trafugate durante il sacco di Roma. Una volta arrivati a Cagliari, i religiosi informarono dell’accaduto l’arcivescovo di Cagliari, il quale per accertare la veridicità dei fatti e la natura delle reliquie istruì un processo. Pare che gli stessi soldati, pentiti e colti dal rimorso del furto, nell’imminenza di un grave pericolo fecero voto di restituzione di quanto illecitamente sottratto dalla “città eterna”. Dal verbale risulta che tale Giovanni Spagnolo da Toledo fosse in possesso di preziose reliquie consegnategli a Gaeta da una donna che le ebbe a sua volta dal segretario dell’arcivescovo di Bari. Dopo varie traversie, le stesse reliquie giunsero nelle mani di alcune persone che decisero di destinarle alle chiese di Spagna. La tempesta mando a monte il progetto. Tra queste la “Sacra Spina” , così chiamata perché apparteneva alla corona di spine che Gesù Cristo fu costretto a portare nella sua lunga agonia, e il Trittico attribuito al pittore fiammingo Rogier van Der Weyden, trafugato dall’appartamento privato di Sua Santità Clemente VII dal soldato di Barcellona Giovanni Borsena.Il Papa, commosso dalla fedeltà dell’arcivescovo cagliaritano, decise di donare gli oggetti alla città di Cagliari, affinchè fossero venerate come reliquie e chiedendo che tutti gli anni, in occasione della festa dell’Assunta, queste fossero esposte in Cattedrale alla venerazione dei fedeli. Alla venerazione della Sacra Spina legò anche la concessione dell’Indulgenza Plenaria, indulgenza che venne riconfermata nel 1992 dal Papa Giovanni Paolo II. Il resto delle reliquie e degli oggetti recuperati furono rimandati da Gerolamo Di Villanova al Papa tramite il canonico cagliaritano Matteo Corellas.
Il Trittico di Clemente VII. Un capolavoro d’arte fiamminga
Tra le più belle opere d’arte fiamminga, il Trittico si compone di tre scomparti modanati in legno dipinto che raffigurano la Pietà (al centro), la Madonna con Sant’Anna e il bambino (a sinistra), e Santa Margherita con il drago (a destra). Sebbene non si conosca l’autore, la critica l’ha attribuito al celebre pittore fiammingo Rogier Van Der Wayden, attivo nelle Fiandre tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo e celebre per la Deposizione custodita al museo del Prado a Madrid.Con tutta probabilità il papa, amante della pittura fiamminga, acquistò il dipinto durante un suo breve soggiorno nelle Fiandre per poterlo custodire all’interno delle sue stanze.