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Il Museo delle Cere di Cagliari: dove l’arte incontra l’occulto

Allestito all’interno della Cittadella dei Musei a Cagliari, il museo ospita una fra le più interessanti collezioni di cere anatomiche esistenti al mondo. Deve il suo nome a Clemente Susini, famoso ceroplasta vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, autore delle 23 cere che riproducono con estrema precisione e cura del dettaglio parti anatomiche del corpo umano maschile e femminile, unendo alla straordinaria perfezione estetica la ricerca e la cura maniacale del dettaglio.

Osservando le cere anatomiche di Susini, soprattutto i volti, non si può fare a meno di notare il realismo delle espressioni che restituiscono all’osservatore le sembianze reali di vite spezzate ed esibite nella compostezza della morte.

La storia della collezione

La storia della collezione comincia nel 1801, quando Francesco Antonio Boi, professore di Anatomia della Regia Università  di Cagliari, riceve dal vicerè di Sardegna Carlo Felice un ingente contributo per recarsi tra Pavia, Pisa e Firenze e migliorare la sua formazione in campo medico. Francesco Antonio Boi ha quindi modo di entrare in contatto con gli ambienti illuminati delle più importanti città italiane tra cui, soprattutto, il Museo della Specola di Firenze, dove conosce l’artista ceroplasta Clemente Susini. Questo incontro segna l’inizio di un proficuo sodalizio professionale, portando alla realizzazione, tra il 1803 e il 1805, delle cere che attualmente si trovano custodite all’interno del museo cagliaritano. A commissionarle è lo stesso sovrano piemontese per il suo Museo di Antichità  e Storia Naturale della Regia Università di Cagliari.

Una delle sale del Museo de La Specola di Firenze

Nel 1806 la collezione arriva a Cagliari quasi in segreto, nonostante l’ingente somma pagata per la loro realizzazione che ammontava a quasi 15.000 lire.

Ma perchè tanto interesse da parte del sovrano per questa collezione?

Le ragioni sono sostanzialmente due. La prima è che durante il Settecento il progresso tecnico-scientifico e la medicina avevano raggiunto altissimi livelli. In tutta Europa stavano fiorendo facoltà  di medicina che richiedevano, tuttavia, un grande quantitativo di cadaveri, i quali costituivano un bene prezioso. Addirittura maggiore era il numero dei cadaveri di cui si disponeva, maggiore era il prestigio e la fama dell’Ateneo. Naturalmente, però, i cadaveri avevano un costo. E non tutte le università  potevano permetterselo.

La seconda ragione è legata alle motivazioni etiche e religiose della dissezione. Chi dissezionava i cadaveri non godeva di buona fama tra i contemporanei, quasi al pari di chi li rubava. Fenomeno, questo, assai diffuso nell’Ottocento. Non dimentichiamo il peso esercitato dalla Chiesa sulla mentalità  comune, influenzando molto spesso atteggiamenti e comportamenti. In quest’ottica si tendeva a guardare negativamente chiunque ostacolasse la fede guardando al defunto come un semplice corpo da studiare. La profanazione del corpo significava violare l’identità stessa del defunto, la sua vita, la sua storia. E spesso la superstizione si sostituiva alla scienza e perfino alla religione. Si riteneva che lo studio dei corpi non fosse ben visto dalle anime erranti che, in attesa di ricevere degna sepoltura, vagassero alla ricerca disperata di vendetta, infestando strade, vicoli, case e creando disagi evidenti nel mondo dei vivi.

Alla luce di questo, dunque, la cera rappresentava un efficace compromesso per l’evoluzione delle scienze mediche. Attraverso la cera, materiale viscoso ed estremamente malleabile, si potevano eseguire calchi e fedeli riproduzioni dal vero in tempi molto brevi e, soprattutto, con una tale aderenza alla realtà mai vista prima ed in nessun altra forma d’arte. I calchi o le riproduzioni in cera, quindi, arrivavano gradualmente a sostituire le parti anatomiche dei cadaveri, dando la possibilità  ai giovani medici di poter apprendere.

Il Museo delle Cere Anatomiche Clemente Susini a Cagliari

Ma perché la ceroplastica è sempre stata considerata una forma d’arte “di serie B”?

Fin dai tempi più antichi la ceroplastica ha avuto grande sviluppo ma, a differenza degli altri generi artistici, la sua è stata una vicenda travagliata fatta di successi e declini, a causa della componente mistica in essa insita. Se l’arte è¨ nata con l’obiettivo di imitare la realtà , la cera è l’unico materiale capace di assolvere concretamente a questo scopo. La scultura, la pittura, il disegno creano un modello di realtà  che si traduce in immagini di essa. Ma la cera, invece, è capace di creare una realtà parallela e indipendente, dotata di vita propria. Proprio per le proprietà  fisiche e meccaniche del materiale, la cera si è sempre rivelata particolarmente adatta all’arte del ritratto, consentendo di restituire i dettagli più delicati e persino il colorito naturale del modello. Ma sono proprio queste sue qualità a costituirne al contempo il lato oscuro, dando corpo all’incubo e all’ossessione di una perfetta metamorfosi.

Il calco funebre equivaleva quindi al volto che stava sotto di esso. Da qui il timore ed il disagio scaturiti dall’osservazione e addirittura dalla semplice presenza dell’immagine di cera, che ha messo in crisi non solo i semplici spettatori ma anche gli storici dell’arte, che hanno sempre guardato alla ceroplastica con un atteggiamento di sufficienza.

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Riferimenti Bibliografici

  • L. Cattaneo, Le cere anatomiche di Clemente Susini dell’Università  di Cagliari
  • E. Baiada, Il Museo della Specola di Firenze
  • M. Poggesi, Scienza, arte, gusto e tecnica: la tradizione ceroplastica a Firenze
  • F. Simonetti, Sortilegi di cera: la ceroplastica tra arte e scienza

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