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Il Michelangelo dei morti: Giuseppe Sartorio e la scultura dell’immortalità

Un appellativo curioso quello attribuito all’artista piemontese Giuseppe Maria Sartorio che consegnò alla scultura funeraria le sue incredibili doti artistiche.

“Il Michelangelo dei morti” – così era chiamato dai contemporanei – non aveva rivali. Estremamente dotato, creativo, attento, ma anche arrogante, spregiudicato e sicuro di sé, Sartorio fu uno tra i personaggi più caratteristici del suo tempo: uno scultore “maledetto” che intuì da subito l’enorme potenziale economico della scultura funeraria, nell’epoca in cui, proprio nei cimiteri monumentali, prendeva vita una singolare kermesse artistica atta a celebrare il trionfo della morte.

Cimitero Monumentale di Milano, uno tra i più celebri del XIX secolo.

A contendersi i migliori scultori dell’epoca erano soprattutto la nobiltà e la nascente borghesia, ognuna impegnata a dimostrare la grandezza della famiglia rappresentata dal caro estinto. Questa lotta silenziosa combattuta a colpi di concessioni funerarie diventò una ghiotta occasione per gli artisti, consapevoli di poter far leva sulla vanità della committenza, spesso guidandola fin dalla scelta degli spazi più strategici in cui installare le preziose opere monumentali.

Grazie a questi capolavori d’arte, i cimiteri diventavano veri e propri musei a cielo aperto, rispecchiando mode, abitudini, vezzi e contraddizioni della società ottocentesca. Ormai lontani dalle prescrizioni napoleoniche che avevano immaginato i cimiteri come luoghi asettici e omologanti, gli artisti vedevano nell’arte funeraria la possibilità di eccedere nel virtuosismo e nella creatività, celebrando quel culto per l’individuo pienamente espresso dall’estetica romantica.

Alcune opere di Sartorio nel Cimitero Monumentale di Bonaria a Cagliari.

E tra questi artisti, Giuseppe Sartorio fu forse quello che meglio riuscì a far leva sui sentimenti umani, plasmando corpi di pietra dall’anima immortale. Osservando le opere di Sartorio sparse nei cimiteri isolani si viene colpiti, infatti, non solo dall’indiscutibile bellezza delle sculture, ma da quella capacità di rendere palpabile la vita vissuta e spezzata, raccontandone frammenti che si imprimono nella memoria e difficilmente si dimenticano.

Il concorso di Iglesias e il trasferimento in Sardegna

Lavorava prevalentemente nel Lazio, Sartorio, quando nel 1885 il Comune di Iglesias bandì un concorso per la realizzazione del monumento dedicato a Quintino Sella – illustre rappresentante della storia mineraria del territorio – per l’omonima piazza di Iglesias. Al concorso parteciparono vari scultori, ma fu l’artista piemontese ad aggiudicarsi la vittoria e i prestigiosi riconoscimenti che ne derivarono.

Del suo stile colpirono la teatralità, l’eleganza ed il forte realismo. Un talento innato, il suo, che riuscì a coltivare a prescindere dalle ristrettezze economiche della sua famiglia. Nato a Boccioleto, nel Vercellese, nel 1854, studiò a Varallo Sesia e lavorò inizialmente come garzone di bottega presso un intagliatore del legno. Più che mai determinato a continuare gli studi, sebbene in contrasto con il parere dei genitori, nel 1875 si trasferì a Torino, dove entrò tra gli allievi dell’Accademia Albertina. In seguito si trasferì a Roma per frequentare l’Accademia Nazionale di San Luca. Dieci anni dopo arrivarono i primi successi e le prime importanti commissioni che lo portavano a viaggiare molto spesso per far fronte alle tante richieste, soprattutto in ambito funerario. Sartorio si trovò in pochi anni a fondare e gestire un numero assai elevato di botteghe sparse tra la Sardegna, il Lazio e il Piemonte.

Monumento di Zaira Deplano, detto “la bambina con il cerchio”, nel Cimitero Monumentale di Iglesias.

Forse fu proprio questo il suo più grande merito: prima ancora che essere un eccellente scultore, Sartorio fu un abile imprenditore. Comprese pienamente le potenzialità di questo “mercato” e cavalcò il più possibile l’onda della vanità e della rivalità sociale per ottenere più commissioni.

Scelse sempre di lavorare autonomamente, circondandosi di scultori abili ma non affermati che diventarono veri e propri dipendenti. Fu una scelta strategica e proprio questa organizzazione gerarchica e “aziendale” gli permise di fronteggiare le svariate commissioni.

Da un articolo di giornale del 1896 si apprende che Sartorio a questa data aveva realizzato in Sardegna, dove stava già da 10 anni, ben 100 sculture collocate nei principali cimiteri dell’isola (Cagliari, Oristano, Iglesias, Cuglieri, Sassari).

Dettaglio del monumento a Jenny Nurchis nella cappella di famiglia del Cimitero Monumentale di Bonaria a Cagliari.

La sua arte era richiestissima e spesso, anche chi non poteva permetterselo, faceva qualche sacrificio in più per poter affidare al maestro un piccolo capolavoro. Questa fama lo rendeva quasi inafferrabile agli occhi dei contemporanei e senz’altro invidiatissimo dai colleghi, con i quali Sartorio difficilmente era solito stringere legami, amicizie e ancor meno collaborazioni professionali.

Ma non solo: era talmente consapevole della sua bravura da risultare arrogante e superbo. Curioso come, a pochi anni dal suo trasferimento in Sardegna, scelse di replicare il modello di un’opera del suo rivale Ambrogio Celi per dimostrare la sua maggiore abilità tecnica.

L’opera in questione, realizzata da Ambrogio Celi dopo la morte di Vittorio Raspi, cui il monumento è dedicato, era considerata una tra le più belle del Cimitero di Bonaria a Cagliari. Non solo per la precisione e la cura nella resa dei dettagli, ma anche per la scelta controcorrente con la quale l’artista toscano ribaltava gli schemi tradizionali della scultura funeraria, rendendo protagonista del monumento la vedova, ritratta a grandezza naturale nell’atto di omaggiare il suo defunto marito con una corona di fiori, suggellando per l’eternità quel sentimento di devozione e fedeltà matrimoniale post mortem imposta dalle consuetudini sociali.

Replicando fedelmente il modello del collega, Sartorio rende Luigia Oppo – vedova del celebre giurista Giuseppe Todde – custode immortale degli “amorosi sensi” descritti dal Foscolo nei Sepolcri e protagonista di una tra le più suggestive opere del camposanto cagliaritano.

Monumento al Prof. Giuseppe Todde nel Cimitero Monumentale di Bonaria.

Ma non erano solo le ricche signore a richiedere i suoi servizi, anche i genitori di bambini e fanciulli scomparsi prematuramente: dal dolce Efisino, morto ad appena 33 mesi di vita, alla piccola Mariuccia Ugo Ortu, strappata alla vita a soli 3 anni, fino alla leggendaria Zaira Deplano, morta all’età di 6 anni. Dietro queste opere di indiscutibile bellezza, c’è la malinconia di storie troppo brevi, di vite spezzate troppo in fretta, il cui ricordo struggente è capace di commuoverci ancora oggi. Le immagini dei bambini, con le loro espressioni gioiose, i loro vestitini della domenica e i giochi che li accompagnavano nelle giornate allegre e spensierate, sono ancora lì per ricordarci che la vita è fugace, i sorrisi sono preziosi e i ricordi sono dolorosi.

Monumento a Maria Ugo Ortu detta “Mariuccia” nel Cimitero Monumentale di Bonaria a Cagliari.

La morte misteriosa

Se tanto si conosce della produzione artistica di Sartorio, del suo linguaggio e della rivoluzione che riuscì a compiere nell’ambito della scultura funeraria otto-novecentesca, la sua morte è tutt’ora un mistero. A 64 anni lo scultore funerario più celebre del momento stava senz’altro raccogliendo i frutti di una florida carriera. Era ancora attivo, gestiva le commissioni, supervisionava i lavori dei suoi dipendenti e continuava a firmare le sue opere. Ecco perchè, tra le tante ipotesi avanzate, quella del suicidio sembra la meno convincente.

Forse fu ucciso per rapina, o forse per invidia, dato l’enorme successo dei suoi lavori. Oppure fu vittima di una tragica sciagura. Rimane il fatto che, nella notte tra il 19 e il 20 settembre 1922, durante la traversata sul Tirreno da Terranova – attuale Olbia – a Civitavecchia, il suo corpo scomparve, forse disperso in mare.

Ci si accorse della scomparsa soltanto all’arrivo in porto, quando del “Michelangelo dei morti” non vi era più alcuna traccia.

Non un funerale, non una tomba, nemmeno una scultura che ne esaltasse la grandezza. Trascorsero dieci anni prima che si dichiarasse ufficialmente la sua morte, anche se il suo corpo non fu mai ritrovato.

Un curioso destino quello di Sartorio, che dedicò la sua vita a raccontare la morte, per poi da quest’ultima essere beffato.  

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Riferimenti Bibliografici

  • Cagliari: il Cimitero Monumentale di Bonaria. La sua storia, le fonti d’archivio e l’attività artistica di Giuseppe Sartorio
  • Bonaria: il Cimitero Monumentale di Cagliari
  • N. Castangia, Nel silenzio di Bonaria. Immagini del cimitero storico di Cagliari
  • A. Palmieri Lallai, Bonaria: passeggiando all’ombra dei cipressi. Guida al Cimitero di Bonaria
  • M. Dadea, Memoriae: il museo cimiteriale di Bonaria a Cagliari

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