C’era un tempo in cui Cagliari era dilaniata dalla corruzione e dal malaffare e ovunque, tra le spesse mura della cittadella, nel silenzio delle chiese e dentro le stanze dei palazzi aviti, si cospirava nell’ombra. Era il tempo in cui su Cagliari si stendeva l’ombra della Santa Inquisizione, spesso strumentalizzata per favorire o rovesciare complessi equilibri di potere.
In quest’epoca di tumulti, paura e contraddizioni, molti però furono gli uomini che si distinsero per fermezza e coraggio, scrivendo alcune tra le più belle ed avvincenti pagine di storia sarda. Tra questi il giovane cagliaritano Sigismondo Arquer, che passò alla storia come il “Giordano Bruno sardo”.
Sigismondo nacque a Cagliari nel 1530 nella nobile famiglia Arquer, stimata e vicina alla Corona spagnola. Giovanni Antonio, suo padre, era un uomo di grande rettitudine e coraggio che lavorò fianco a fianco con il vicerè di Sardegna Antonio Folch de Cardona, il quale si avvalse della sua preziosa collaborazione per tentare di metter fine ad alcune losche attività di peculato che coinvolgevano il clero e l’aristocrazia feudale sarda. Il giovane Sigismondo, quindi, crebbe in un ambiente dominato dal rigore e dall’onestà e a soli diciotto anni, seguendo le orme di suo padre, si laureò in “Utroque Iure” (Diritto Canonico e Civile) presso l’Universita di Pisa e in Teologia a Siena.
La frequentazione degli ambienti umanistici toscani lo portò a sviluppare una coscienza critica nei confronti dell’istituzione inquisitoriale ed in particolare del clero cagliaritano, che egli considerava ignorante e corrotto. Fu soprattutto durante una breve esperienza in Svizzera, nella quale vigeva un clima di assoluta libertà religiosa, che Sigismondo sviluppò ln una posizione aperta nei confronti degli ambienti luterani. In particolare strinse rapporti d’amicizia con il monaco svizzero Sebastian Münster, il quale lo coinvolse nella stesura di una complessa opera enciclopedica che egli stava da tempo scrivendo.
L’ambizioso lavoro – intitolato “Cosmographia Universalis” – diede a Sigismondo l’opportunità di scrivere nel 1548 la “Sardiniae Brevis Historiae et Descriptio“ nella quale erano contenuti disegni e carte geografiche di Cagliari e della Sardegna, riflessioni personali, statistiche, descrizioni e contenuti storiografici di vario genere.
La collaborazione con Münster fu fondamentale nella formazione giovanile dell’Arquer, ma purtroppo gli procurerà più tardi la pesante accusa di eresia. Quando nel 1559 l’opera di Münster (e di conseguenza quella di Arquer) verrà messa all’Indice dei libri proibiti, la direzione che la Santa Romana Chiesa stava assumendo nei confronti del Luteranesimo – e dell’eresia in generale – era ben chiara.
Tornato a Cagliari sul finire del 1555 Sigismondo fu nominato funzionario del regno di Sardegna e, successivamente, avvocato fiscale dal re Filippo II di Spagna. Questo incarico lo portò a viaggiare a lungo tra Spagna e Sardegna. A Sassari conobbe Gaspare Centellas, castellano di Sassari e Castel Aragonese (attuale Castelsardo), col quale condivise interessi e riflessioni. Anche l’amicizia con il Centellas – accusato di eresia e condannato alla pena del rogo a Valencia nel 1564 – verrà strumentalizzata nel processo che Sigismondo subirà più tardi.
Ma oltre che a viaggiare e conoscere uomini di grande intelletto, la carica di avvocato fiscale lo portò a mettere le mani su quei loschi affari che già trent’anni prima avevano portato Giovanni Antonio a smascherare i membri più in vista dell’aristocrazia feudale sarda. Fu soprattutto Salvatore Aymerich a reggere le intricate fila del malaffare cagliaritano e a muovere la potente macchina dell’Inquisizione contro Sigismondo Arquer. In virtù della sua amicizia con l’inquisitore Andrea Sanna, nel 1558 l’Aymerich riuscì a far aprire un fascicolo contro l’Arquer, montando una serie di accuse per eresia, le quali, però, caddero proprio grazie alla difesa che quest’ultimo riuscì a prepararsi e portare in tribunale di Madrid davanti al re.
Consapevole che Cagliari non era più una città sicura per lui, nel 1560 Sigismondo ritornò in Spagna. Ma il suo destino sembrava ormai segnato. Nel 1562 diventò inquisitore il temuto e feroce Diego Calvo, corrotto e deciso ad andare fino in fondo alla questione. Trascorse poco meno di un anno e Sigismondo fu arrestato definitivamente con l’accusa di eresia a Toledo. Cominciò un processo lungo e doloroso durato oltre 7 anni, durante i quali Sigismondo provò in tutti i modi a difendersi, dichiarandosi fino all’ultimo cattolico. Provò perfino ad evadere, per poi essere catturato e nuovamente rinchiuso nelle carceri del Sant’Uffizio. Fu torturato due volte con l’obiettivo di estorcergli quella confessione necessaria per porre fine alla questione. Sigismondo doveva dichiararsi colpevole e firmare la sua abiura. Ma non poteva accettarlo. Dichiararsi colpevole avrebbe significato ammettere il falso e non poteva. Anche a costo della vita. Cominciò a scrivere un memoriale difensivo in lingua castigliana, annotando i suoi appunti nel retro delle carte processuali nelle quali erano riportate le accuse contro di lui. Quelli che inizialmente erano semplici annotazioni, diventarono un componimento poetico che egli intitolò “Passion”, composto da 45 strofe e 10 versi ottosillabi con rima baciata e alternata.
La condanna fu emessa ed eseguita al termine di un lungo autodafé il 4 Giugno del 1571 a Toledo e fino alla fine, nonostante le fiamme avessero già cominciato a lambire il suo corpo, Sigismondo, poco più che quarantenne, si dichiarò innocente. Questa stessa triste sorte toccò 29 anni più tardi ad un altro grande pensatore – il monaco domenicano Giordano Bruno – che fu anch’egli arso vivo a Campo dei Fiori il 17 Febbraio del 1600 con la stessa accusa di eresia.
Riferimenti Bibliografici
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