di Federica Marrocu
Si è svolta qualche mese fa la seconda edizione di “Cagliari si racconta”, un appuntamento di grande interesse organizzato dalla società cooperativa Itzokor in sinergia con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio, quest’anno ospitata dall’Associazione Museo Sant’Eulalia. Si tratta di una serie di incontri durante i quali vengono approfonditi e raccontati da coloro che li hanno condotti, gli scavi archeologici effettuati in città.
Noi abbiamo partecipato con grande interesse e per questo abbiamo deciso di dedicare un piccolo approfondimento agli scavi condotti e raccontati da Sabrina Cisci presso il Bastione di Santa Caterina.
Le scoperte effettuate durante le indagini archeologiche stanno portando a modificare la narrazione che si è consolidata attorno al colle che ha visto sorgere il quartiere medievale di Castello. Era, infatti, opinione diffusa che la collina fosse rimasta pressoché disabitata (o comunque sporadicamente frequentata) fino all’età pisana.
L’area interessata dagli scavi si trova di fronte alla scuola di Santa Caterina e si presentava come una piazza, il cui aspetto era dovuto allo smantellamento delle strutture militari di età spagnola, portate avanti nel corso dell’Ottocento e sostenute dalla rivoluzione urbanistica di Ottone Bacaredda. Le campagne di indagine archeologica sono state due: una nel 2009-2010 e l’altra nel 2012-2014.
L’obiettivo iniziale era mettere in luce le fasi di frequentazione del sito, dove, secondo le fonti sorgevano alcune strutture, tra cui la “Fontana Bona”, menzionata, tra gli altri, anche dal Canonico Spano, le cui acque avevano creato cedimenti e infiltrazioni almeno dal XVI secolo.
Nessuno avrebbe potuto immaginare le scoperte che da lì a poco sarebbero state effettuate. Emersero dai primi scavi strutture murarie di età romana, in un punto della città in cui fino a quel momento erano state trovate poche prove di una frequentazione sporadica (cisterne, qualche tomba e poco altro). Ma non solo: furono ritrovate anche tracce di una struttura risalente al XIV secolo, forse una catapulta, nonchè un pavimento collegato a una canaletta e infine una volta a botte. Quest’ultima sembrava essere quella menzionata dalle fonti e attribuita a Gaetano Cima, costruita per proteggere la “Fontana Bona”.
Ma la realtà aveva in serbo altre sorprese: non è stata scoperta la fontana, ma una cavità, coperta dalla già citata volta a botte e colma di materiali, che erano stati riversati in quel punto al momento della costruzione del Bastione di Saint Remy alla fine dell’ Ottocento. Il riempimento nascondeva un ipogeo profondo circa sei metri, con nicchie alle pareti. Il piano di calpestio era ricoperto di cocciopesto (un rivestimento fatto di calce e polvere o frammenti di laterizio, resistente all’umidità). Sembrava trattarsi di un edificio con funzione cultuale: un edificio sacro sotterraneo.
Sono state individuate altre fasi, delle quali una riconducibile alla metà del Settecento, quando il sotterraneo era stato riutilizzato, e una fossa con scopo funerario: sul coperchio del sarcofago si leggeva un nome: Valeria, un patronimico molto diffuso a Cagliari, di una committenza modesta databile al III secolo D.C., poi riadattato. Frammenti e istantanee da un passato che riemerge, talvolta inaspettatamente. La prima campagna si chiuse così, con una serie di questioni rimaste aperte che la squadra di Sabrina Cisci era intenzionata a non lasciare in sospeso per molto.
Dopo la prima campagna, gli scavi sono ripresi nel 2012, rivelando scoperte ancora più sorprendenti. Tra queste, la presenza di una grotticella sepolcrale di età eneolitica (2800 a.C.- 1800 a.C.), costituita da tre ambienti e leggibile solo per metà perché interrotta dagli interventi successivi. Sebbene questa porzione di scavo non abbia restituito materiali, è comunque interessante, perché permette di avanzare ipotesi concrete sulla presenza umana in una zona della città finora inedita, in un periodo mai considerato, come la Preistoria.
Lo scavo ha poi permesso di vedere l’area ipogeica in tutta la sua interezza: si trattava originariamente di una cisterna punico-romana, molto simile a quella di Capo Sant’Elia, nei pressi del Tempio di Astarte, riutilizzata nel tempo sempre con funzioni idrauliche.
Col tempo, date le problematiche legate ad infiltrazioni continue, si decise di cambiarne la destinazione d’uso. In età romana diventò un edificio di culto con quattro nicchie su entrambi i lati e dei riquadri in alto, forse per delle decorazioni. Sull’ambiente principale si aprono anche due ambienti laterali. Vi si accedeva tramite una scala, che univa l’ipogeo con il piano soprastante. A un certo punto sono stati costruiti muri divisori, connessi a un ulteriore utilizzo, successivo a quello cultuale, che contenevano, da una parte, un riempimento di terra e ossa umane non connesse tra loro, quindi trasferite lì in un momento successivo rispetto alla prima sepoltura.
La cronologia riporta alla fase tardoantica-altomedievale. Le ossa sono state sottoposte a un accurato studio dall’antropologa Elena Usai, la quale ha determinato che le persone a cui appartenevano i resti erano decedute per morte violenta. Ma a seguito di quale evento storico?
Tra il materiale sono stati trovati reperti che riportano alla fase bizantina, alla metà del VI secolo. Sappiamo che il governatore della Sardegna, dopo un breve periodo di permanenza a Fordongianus (allora si chiamava Crisopolis), tornò a Cagliari quando arrivarono i saraceni, alla fine del VII secolo. A Cagliari, dunque, era presente in maniera forte il potere politico: testimonianza di questo sarebbero gli exagia, ovvero i pesi ponderali usati per coniare moneta, rinvenuti fra la terra e le ossa del riempimento. Solo chi è al potere conia moneta.
Che quei resti appartenessero a soldati coinvolti in qualche importante battaglia?
C’è una fonte bizantina (il De bello gotico di Procopio di Cesarea) in cui si parla di un episodio avvenuto a Cagliari: i Goti, asserragliati “dentro le mura”, riuscirono a respingere il tentativo dei bizantini di riconquistare Cagliari. Durante questa fase delle guerre greco-gotiche, i Goti di Totila riuscirono a conquistare varie parti della provincia di Sardegna e Corsica: era il 552 e per circa sei mesi Cagliari fu sotto scacco. Dietro quali mura i Goti riuscirono a difendersi? Non è pensabile che le abbiano costruite da zero, dovevano necessariamente esistere delle fortificazioni di età giustinianea, ma dove si trovavano queste mura? Secondo la fonte, i bizantini attesero sulle navi il momento per sferrare l’attacco.
Stando a ciò che è stato ritrovato sotto il Bastione di Santa Caterina sembrerebbe possibile ipotizzare un castrum sul colle di Castello.
Scavare in ambito urbano è difficilissimo, perché le intromissioni nelle varie epoche sono frequentissime. Ad aiutare sono spesso le aree destinate a discarica: trovare un “butto” quindi è una gran fortuna. A Santa Caterina ha restituito moltissima ceramica databile al IX secolo, che non circolano oltre l’XI. Una fase che è immediatamente successiva alla deposizione delle ossa.
Sono molte le informazioni emerse da queste campagne di scavo: non è stata (per ora) trovata la Fontana Bona, ma, come spesso accade in archeologia, le sorprese sono state molte e gli studi dei materiali consentiranno di completare un quadro già ricco di novità.
E noi non vediamo l’ora di raccontarle!
Riferimenti Bibliografici
S. Cisci, M. G. Messina, D. Mureddu, M. Tatti, Indagini archeologiche presso il bastione di Santa Caterina. Campagna 2012-2013
S. Cisci, M. Tatti, Cagliari, indagini archeologiche presso il bastione di Santa Caterina. Notizia preliminare
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