Amedeo Modigliani è stato uno tra gli artisti più importanti del Novecento, nonché uno tra i più prolifici, nonostante la morte avvenuta a soli 35 anni. Il suo linguaggio ha rivoluzionato il mondo dell’arte e ci ha lasciato opere caratterizzate da una intensa carica erotica e al tempo stesso fortemente introspettive. La sua vita fu tra le più chiacchierate e discusse e ha aperto la strada a molti interrogativi, contribuendo a contornare una figura carismatica dalle mille sfaccettature.
Amedeo nacque a Livorno il 12 luglio 1884, quarto tra i figli di Flaminio Modigliani e Eugénie Garsin. All’epoca della sua nascita la famiglia stava attraversando un momento di crisi finanziaria dopo che l’impresa di cambiavalute del padre andò in bancarotta. Proprio il giorno della nascita del piccolo, a poche ore dal parto, nella casa di Livorno sopraggiunsero alcuni ufficiali giudiziari incaricati di pignorare i beni di famiglia, molti dei quali erano stati sistemati sotto il letto della puerpera, intoccabile per legge. Eugenie aveva 15 anni quando fu promessa al già trentenne Flaminio e, due anni dopo, si sposarono. Fu certamente un matrimonio di convenienza combinato tra due vecchie famiglie ebraiche che erano entrate in contatto proprio in Sardegna, a Iglesias, dove Flaminio Modigliani conobbe Isacco Garsin, padre della sua futura moglie, che aveva il centro della sua attività commerciale a Marsiglia. Fu durante un viaggio di lavoro nella città francese che fu deciso il fidanzamento. Ma la futura sposa, come lei stessa riporta in un suo diario, non fu neanche avvisata. E dopo la celebrazione dell’ unione, fino al 1884, la giovane coppia visse praticamente separata: lei a Livorno, lui in Sardegna.
Fu grazie all’attività di insegnante e traduttrice della madre che la famiglia poté tirare avanti, e tra i tanti impegni la donna si adoperò alacremente per curare personalmente l’istruzione scolastica dei figli e incentivarne le doti.
Tra queste quella del disegno che Amedeo, fin dall’adolescenza, sembrava possedere come un dono innato. Ma oltre al talento, purtroppo, il piccolo mostró alcuni problemi di salute che, col tempo e la vita sregolata che intraprese da adulto, si acutizzarono fino a provocarne la morte prematura nel 1920. A 14 anni circa contrasse una febbre tifoide e successivamente la tubercolosi che lo costrinsero ad abbandonare gli studi ed effettuare alcuni soggiorni in località costiere per trarre giovamento dall’aria salubre del mare.
Tra queste località la Sardegna, ed in particolare l’ Iglesiente, furono forse meta di alcuni brevi soggiorni che il giovane Amedeo condivise con il padre in un momento di distacco tra quest’ultimo e la madre, i cui rapporti già poco idilliaci si erano bruscamente sfreddati in seguito alla crisi finanziaria. Fu in questa fase che “Dedo” – come era chiamato in famiglia – tra il 1896 e il 1901, potrebbe aver avuto occasione di recarsi più volte in Sardegna con il padre, il quale continuava a seguire alcuni affari nell’Iglesiente.
La fortuna economica della famiglia Modigliani è dovuta allo spregiudicato Abram Vita che, all’inizio del XIX secolo, finanziò le imprese napoleoniche ottenendo importanti riconoscimenti e grandi fortune. Grazie alla ricchezza accumulata, nel corso dell’Ottocento i Modigliani riuscirono a fare grandi investimenti, coltivando doti innate come la capacità di fiutare buoni affari e stringere conoscenze con personaggi importanti legati alla politica e alla finanza del tempo. Tra questi il Conte Camillo Benso di Cavour, che nel 1856 concesse a Emanuele Modigliani, nonno di Amedeo, la proprietà delle foreste del cosiddetto Salto di Gessa, nella località tra Iglesias e Fluminimaggiore, ex proprietà feudale del conte Niccolò Gessa.
L’amicizia tra il Cavour e i Modigliani fu tale da aggirare l’opposizione mostrata da deputati sardi Pasquale Tola e Francesco Sulis verso le concessioni, i quali temevano ripercussioni negative per l’ambiente. Timori più che fondati considerando che i Ciarella, i Modigliani e i Boldetti trasformarono le grandi leccete del territorio in carbonella per alimentare le industrie marsigliesi, mentre i giacimenti minerari, appena scalfiti da Fenici, Romani e Pisani, furono riscoperti dai francesi della società mineraria Malfidano che li sfruttarono con metodi moderni.
Gli appunti di viaggio dello scrittore Francois Bennet che venne a visitare il territorio di Fluminimaggiore nella seconda metà dell’Ottocento, percorrendo il tratto che dalla miniera di Acquaresi porta a Fluminimaggiore, ci restituiscono una descrizione dello scempio compiuto in quei boschi tanto magnifici da essere paragonati ai boschi di Fontanainbleau: tutta la montagna venne disboscata e sul terreno rimasero solo alberi tagliati. Persino Quintino Sella, che nel 1870 visitó quei luoghi, disse che i mercanti livornesi erano dei nuovi Attila.
Oltre alla proprietà di circa 12.000 ettari di foresta, i Modigliani ottennero i diritti di sfruttamento dei venticinque punti mineralogici di piombo argentifero già individuati nell’area. Da questo momento cominciarono ad edificare le proprie residenze in Sardegna, tra Borgo Sant’Angelo e Grugua, e disboscare ettari di foreste per trarne legna e carbone vegetale assecondando la legge introdotta proprio dall’amministrazione Cavour. Attorno alle loro proprietà, invece, la vegetazione era rigogliosa e fitta e addirittura vennero piantate vastissime distese di vigneti ed oliveti, che produssero grandi quantità di olio e vino. Flaminio Modigliani, padre dell’artista, fu il primo ad adoperarsi per la commercializzazione dei prodotti sardi, ed addirittura i vini Modigliani furono i primi a varcare le coste americane. A far sì che questi prodotti venissero esportati contribuì un altro imprenditore, Tito Taci, anche lui toscano giunto ad Iglesias per aprire un albergo, il Leon d’Oro, che dava ospitalità soprattutto agli imprenditori che facevano affari nell’Iglesiente. Le cronache raccontano i fasti dell’albergo, con i suoi sontuosi banchetti e le feste, presto stroncate dall’incombere della Prima Grande Guerra.
Lungo la strada che da Iglesias porta a Fluminimaggiore si incontra la località di Grugua. Su quest’area esistono da sempre alcune leggende che la vedono come la famosa Metalla, antica colonia romana che costituiva il centro direzionale di tutta l’attività estrattiva dell’Iglesiente. Di Metalla si parla anche nell’alto Medioevo, quando, prima della Pax Costantiniana, gli schiavi cristiani venivano deportati e condannati, appunto, ad metalla, ovvero ai lavori forzati nelle miniere dell’Iglesiente.
Proprio in Località Grugua sorge ancora oggi la Villa Modigliani, costruita tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento in stile Liberty. Si tratta di uno tra i primi esempi in Sardegna, decretando l’adesione ad uno stile prediletto dalla borghesia ottocentesca per l’utilizzo di moduli compositivi europei caratterizzati da un grande eclettismo.
Simile a Villa Modigliani e anch’essa silenziosa testimone di quest’epoca non troppo lontana è la bellissima Villa Alice, che domina il piccolo promontorio lungo la statale 126, dove nel corso del Settecento sorse il Borgo Sant’Angelo, parte, insieme a Fluminimaggiore, di un’area conosciuta fino ai primi del Novecento come “Sa tanca de Modigliani”.
Villa Alice fu realizzata dall’imprenditore Paolo Boldetti nel 1914, e nello stesso anno fu restaurata la piccola chiesetta poco distante degli Angeli Custodi, eretta nel 1734 sulle vestigia di una precedente chiesa romanica, di cui si conserva l’impianto planimetrico e la presenza del campanile a vela collocato sulla sommità della facciata.
Villa Alice è una grande costruzione su tre piani composta da una ventina di stanze, quasi tutte dotate di caminetto. Nell’ingresso posteriore, evidenziato dalla presenza di un corpo centrale rialzato, si legge la scritta 1914 P.B. Villa Alice, in cui P.B. sono le iniziali di Paolo Boldetti, imprenditore e proprietario della villa. All’interno del giardino è presente un busto di Vittorio Emanuele II e un salottino verde.
Dal piazzale della villa si accede ad altri due edifici: il locale di un’officina e i locali destinati alle stalle. Accanto all’ingresso si possono osservare due antichi cannoni provenienti dalla torre di Cala Domestica, testimonianza della difesa dagli assalti barbareschi. Una campana posta sull’ingresso scandiva i tempi della vita della comunità. Probabilmente la Villa Alice fu realizzata secondo il modello della Villa Modigliani.
Sulla presenza di Modigliani in Sardegna non esiste nessun documento ufficiale, il che ha portato in un primo tempo ad escluderne la possibilità. Sebbene sua famiglia, in particolare il padre Flaminio e il nonno Emanuele, avesse stabilito qui i suoi affari, questo dato non era sufficiente per ipotizzare un concreto soggiorno del pittore sull’isola. A ciò si aggiungeva il grande buco storiografico creato dalla madre di Amedeo, la quale gettò grande silenzio sull’infanzia del figlio, poiché questa coincise con il periodo peggiore per la famiglia, che attraversò il declino finanziario e la separazione tra i due coniugi.
Il primo vero impegno nel capire se e quando Amedeo fosse stato qui in Sardegna fu quello dell’archivista francese Christian Parisot, che, a seguito della scoperta di alcuni documenti d’archivio della famiglia Modigliani a Parigi, nel 2005 promosse una mostra presentata a Venezia, e poi a Cagliari, nel Castello di San Michele, dal titolo “Modigliani a Venezia, tra Livorno e Parigi”, nella quale si riserva un’attenzione particolare al periodo trascorso dal giovane pittore ad Iglesias. Questa mostra ha permesso di ricostruire meglio la vicenda dei Modigliani in Sardegna negli anni a cavallo tra il 1870, quando i Modigliani persero la loro concessione sugli sfruttamenti minerari, che vengono affidati alla società francese Malfidano, e i primi del Novecento, anni cruciali per l’economia dell’Iglesiente che si stava trasformando da agropastorale ad industriale.
Il 1870 segnò l’inizio del declino della famiglia che, perse le concessioni minerarie, continuó ad amministrare le proprietà agricole. Grazie alla presenza dell’albergo Leon d’Oro di Iglesias e all’amiciziia con Tito Taci, Flaminio Modigliani si recava spesso in Sardegna per continuare a seguire gli affari.
Fu forse all’albergo Leon d’Oro che il giovane Amedeo conobbe Medea Taci, figlia del proprietario e amico di famiglia Tito. E fu a Iglesias che, secondo Parisot, egli prese la sua “prima cotta” proprio per la ragazza, di qualche anno più grande di lui. Medea aveva lunghi capelli rossi, un dettaglio quest’ultimo non di scarso rilievo, visto che il colore fulvo delle chiome femminili è un particolare ricorrente nelle opere dell’artista. Nel 1898 la giovane Medea fu colpita da una meningite che in breve tempo la portò alla morte. Dice Parisot che il tragico evento “marcò in maniera particolare il giovane Modigliani” che poi ne eseguÌ un ritratto da una fotografia nel 1899 quando il giovane, ormai abbandonati gli studi, a Livorno frequentava lo studio di Guglielmo Micheli, allievo di Giovanni Fattori. Parisot ritiene che il ritratto di Medea Taci fu una sorta di dono che il pittore fece alla famiglia della ragazza, con la quale condivideva la stessa malattia.
Proprio i parenti di Medea, una volta persi i contatti con i Modigliani, non essendo a conoscenza della volontà dell’artista che voleva distrutte le proprie opere giovanili, conservarono l’opera tramandandola in eredità di padre in figlio. É questa la traccia attraverso la quale è stato ricostruito il passato di Modigliani in Sardegna, tra il 1896 e il 1901.
A questo si aggiunge una piccola curiosità: fino a quando le miniere di Monteponi ad Iglesias furono attive, nella palazzina della direzione era visibile un dipinto, oggi non rintracciabile, chiamato “La farfalla di Modigliani”. Parisot sostiene che si trattasse proprio del ritratto di Medea Taci, della quale, probabilmente, non si conosceva più il nome a distanza di anni, e che mostra un grande fiocco variopinto, simile ad una farfalla.
Al di là dalle interpretazioni, quel che è certo è che le donne di Modigliani non sono mai state solo ritratti, tantomeno concetti razionalizzabili. L’artista, amante delle donne tanto nell’estetica che nell’anima, ha sempre cercato di rappresentare l’essenza della femminilità. Questo sentimento appare evidente anche nel ritratto di Medea, che più che appartenere al linguaggio che ha reso celebre il pittore nel mondo, mostra ancora i segni dello stile dei Macchiaioli ed in particolare di Guglielmo Micheli e Giovanni Fattori. Si tratta, quindi, dell’opera giovanile di un pittore ancora alla ricerca della propria personale espressione artistica, pienamente raggiunta nella Parigi del Primo Novecento. Il ritratto, attualmente, è di proprietà di Carlo Meloni, parente della defunta Medea, di Iglesias.
G. Boi, Famiglie celebri nelle miniere della Sardegna: i Modigliani
Catalogo della mostra Modigliani a Venezia, tra Livorno e Parigi. Opere, documenti degli archivi legali Amedeo Modigliani e inediti sulle proprietà Modigliani in Sardegna.
P. Fadda, I Modigliani in Sardegna e la devastazione dei boschi