“Gennàrgiu, mort”e frius est sètziu peis a fogu“
E’ credenza comune ritenere che il nome di Gennaio deriverebbe da una delle più antiche divinità dell’antica Roma, Giano Bifronte, il dio dal doppio volto che simboleggia l’inizio e della fine di tutte le cose.
A differenza di molte altri dei del mondo antico, Giano non può essere assimilato a divinità ellenistiche ed è tipicamente romano. Tuttavia potrebbe derivare da divinità sumerico-babilonesi come Isimud o Ansar, entrambi raffigurati con due facce. Il suo culto è probabilmente antichissimo e risale ad un’epoca arcaica, in cui i culti dei popoli italici erano in gran parte ancora legati ai cicli naturali della raccolta e della semina. In ogni caso il nome “Ianus” deriverebbe da “ianua”, che in latino significa “porta” e con questa accezione si comprende bene anche la valenza delle due teste: una rivolta al passato, l’altra rivolta al futuro. Gennaio, infatti, è il mese che segna il passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, e la porta assume il significato del passaggio, della transizione.
Stando ai numerosi epiteti con cui ci si riferiva a questa divinità – “Divum Deus”, “Divum Pater”, “Ianus Pater”, “Ianus Bifrons” , tra i più comuni – molti studiosi hanno sottolineato come Giano fosse probabilmente la divinità principale del pantheon romano in epoca arcaica ed anche Sant’Agostino nel suo “De civitate Dei” ricorda che “ad Ianum pertinent initia factorum”.
Per gli antichi romani, inoltre, Giano non era figlio di nessun’altra divinità, ma, proprio per la sua qualità di “padre degli dei”, egli era sempre stato immanente fin dall’origine di ogni cosa. Di questo troviamo conferma anche nei “Fasti” di Ovidio, che ci dice che Giano era presente allorché i quattro elementi si separarono tra di loro dando forma ad ogni cosa. A tal proposito anche Varrone si riferisce a Giano come “Cerus”, cioè “creatore”, ovvero come l’iniziatore del mondo per eccellenza.
Nella sua riforma del calendario romano, Numa Pompilio dedicò proprio a Giano il primo mese successivo al solstizio d’inverno che, con la riforma giuliana del 46 a.C. diventò il primo mese del nuovo calendario.
Come abbiamo detto, Gennaio segnava il passaggio tra il vecchio e il nuovo, e come in tutti i riti di passaggio, il fuoco assumeva una particolare valenza simbolica e propiziatoria. Non è un caso che in molte parti d’Italia Gennaio sia legato ad uno dei santi più “ambigui” di sempre: Sant’Antonio Abate. La Sardegna, naturalmente, non fa eccezione e sono oltre un centinaio i paesi legati alle celebrazioni in onore di “Sant’Antoni ‘e su fogu”.
I primi falò arrivano con l’Epifania, per moltiplicarsi ed attraversare tutta la Sardegna per la festa di Sant’Antonio Abate prima e San Sebastiano poi. Il mese di Gennaio, infatti, sembra essere dedicato a tali riti a simboleggiare il passaggio dalle tenebre alla luce, momento in cui le giornate riprendono ad incrementare le ore di sole con l’attesa della primavera ed il saluto di congedo al vecchio anno e di benvenuto al nuovo. Riti in cui si incontrano elementi tra il sacro ed il profano, riti pagani e riti religiosi cristiani si mescolano per dare seguito a tradizioni antiche dal sapore ancestrale, che perdono la loro origine nella notte dei tempi.
I riti del fuoco, purificatore, propiziatorio, divinatorio, consacratore, sono in Sardegna di origine davvero antichissima. Tra il 16 ed il 17 gennaio in Sardegna in circa un centinaio di centri si festeggia Sant’Antonio Abate, il “santo del fuoco” considerato come il Prometeo sardo, con numerosi fuochi e falò, in una coreografia di aromi, profumi, luci e scintille. La ricorrenza è una delle più antiche e radicate nella cultura sarda ed ancora oggi è molto sentita.
Ma i fuochi continuano anche per San Sebastiano, che si festeggia tra il 19 ed il 24 Gennaio. Anche in questo rito si mescolano componenti di riti pagani e cristiani. La ricorrenza è celebrata in tutta l’isola ma è più viva nel campidano, con “Su Fogadoni” o “Su Fogaroni de Santu Srebestianu”. Anche in questo caso si prepara la raccolta della legna nelle settimane precedenti per dare avvio al grande falò.
Antiche feste popolari, dunque, a testimoniare la diversità e la ricchezza di un’isola meravigliosa come la Sardegna, la sua convivialità, il fascino e la magia che la contraddistinguono, donandole unicità assoluta.