Con il termine “stregoneria” ci si riferiva solitamente all’insieme delle pratiche magico-rituali compiute soprattutto da donne e derivate dalla conoscenza delle arti esoteriche, ovvero quelle conoscenze segrete tramandate soltanto all’interno di una ristretta cerchia di persone.
Con il termine “strega”, invece, siamo soliti indicare una figura mitologica femminile dotata di poteri soprannaturali e capace di praticare le arti occulte. Tra queste, soprattutto, la magia e la divinazione, intesa come l’arte della conoscenza degli eventi futuri e la capacità di stabilire un contatto con il mondo dell’Aldilà.
L’etimologia del termine strega deriva dal sostantivo greco “strix” – “strige” per i romani – che identificava un uccello rapace che si nutriva di sangue e carne umana e che, di conseguenza, era portatore di un cattivo auspicio. Si potrebbe dire, senza incorrere in alcun errore di giudizio, che la stregoneria esiste fin dagli albori della civiltà in relazione alla venerazione della Natura intesa come Grande Madre. Tuttavia, le prime citazioni relative alle streghe e alla stregoneria risalgono all’epoca classica. Troviamo riferimenti alle “striges” in Plauto, Ovidio, Seneca, Petronio, Orazio ecc. Nel mito greco, accanto alle “striges”, si parla anche di “lamie”, donne capaci di assumere sembianze animali, anche in questo caso uccelli rapaci oppure rettili, allo scopo di adescare gli uomini e nutrirsi del loro sangue. Ciò che emerge nel confronto tra “lamie” e “striges” – e che sopravvivrà nelle culture occidentali modellate dall’azione omologante del cristianesimo – è la connessione tra l’elemento animalesco, visto come il risultato di una trasformazione, e la notte, da sempre sinonimo di mistero e oscurità. Siamo ancora lontani, però, dall’avversione nei confronti di queste creature malvagie per motivi di natura teologica e, soprattutto, dall’identificazione della creatura demoniaca in una donna reale. Questa posizione viene mantenuta anche nei primi trattati di natura teologica ad opera dei Padri della Chiesa, tra cui Sant’Agostino, i quali non fanno alcuna menzione del legame tra creature ritenute fantastiche e la possessione demoniaca, stabilendo che si trattasse semplicemente di elementi non reali ma appartenenti alla dimensione dell’immaginazione e del sogno.
Ancora sotto l’impero di Carlo Magno nel IX secolo d.C. esisteva il divieto di perseguitare uomini e donne accusati di essere streghe o stregoni, stabilendo punizioni molto severe per chi ne avesse causato la morte. Sia le autorità religiose sia quelle civili, dunque, scoraggiavano qualsiasi forma di superstizione popolare, sostenendo, infatti, che credere nel potere malvagio di queste creature non fosse cristiano.
Come si è arrivati, dunque, a identificare l’elemento mitologico con quello reale? Come si è arrivati, cioè, ad attribuire a persone realmente esistite e parte di una data comunità sociale la capacità di disporre ed utilizzare poteri soprannaturali – tra cui la metamorfosi – con l’intento di nuocere al prossimo?
Il passo tra la paura atavica verso esseri diabolici e l’identificazione di questi ultimi nelle donne fu breve. La vera e propria persecuzione nei confronti della stregoneria cominciò nel corso del XIII secolo con l’emanazione di alcune bolle papali e fu inasprita nei secoli successivi dalla pubblicazione dei vari trattati di demonologia.
Nel 1233, Papa Gregorio IX promulgò la bolla “Vox in Rama”, nella quale analizzò la situazione creatasi nell’Oldenburgo, dove si era sviluppato un movimento di contestazione contro l’arcivescovo di Brema. Papa Gregorio indirizzò questa bolla a Enrico, re di Germania e figlio dell’Imperatore Federico II. Essa iniziava con un prologo che si serviva di immagini bibliche, dove si descrivevano i mali che avevano colpito la Chiesa, tra cui la presenza di streghe presenti soprattutto nel nord della Germania. Il papa decretò che per i colpevoli di stregoneria non bastava più la scomunica, ma che essi dovessero essere puniti con il rogo. La bolla inaugurò il cliché dell’unione carnale tra il Demonio e le streghe presente dal Trecento al Settecento in vari testi. Tra questi la “Summa Teologica” di San Tommaso d’Aquino, nella quale si spiegava in che modo il diavolo si accoppiava con donne, generando figli.
Ancora nel 1326 Papa Giovanni XXII promulgò la “Super illius”, dove si equiparavano definitivamente le pratiche o le credenze magiche, all’eresia, consentendo di applicare ad esse le normali procedure dell’Inquisizione.
Ma il vero spartiacque nella lotta contro la stregoneria fu la posizione assunta dalla Chiesa sotto l’autorità di papa Innocenzo VIII che, il 5 dicembre 1484, promulgò la bolla “Summis desiderantes affectibus” che si poneva in continuità con le posizioni espresse nei due secoli precedenti. Nella bolla il pontefice aveva espresso la propria preoccupazione verso i fenomeni ereticali e magici compiuti soprattutto dalle donne ed ufficializzò di fatto le procedure contro chi era accusato di praticare il culto del diavolo, scatenando una persecuzione sistematica che avrebbe coinvolto milioni di persone in Europa e in America, tanto in campo cattolico che in campo protestante. Con l’accusa di stregoneria, sia i cattolici, sia i protestanti, eliminarono tutte quelle pratiche che risalivano ai culti religiosi precristiani o a confessioni cristiane dissidenti.
Per quanto riguarda i trattati, invece, uno tra i primi è il “Formicarius” di Johannes Nider, scritto nel 1437 e pubblicato nel 1475. Qui si riprendevano le antiche credenze popolari sulla metamorfosi, i sortilegi e il volo. Al “Formicarius” fece seguito il “Malleus Maleficarum” pubblicato nel 1487 dai due frati domenicani tedeschi Jacobus Sprenger e Heinrich Institor Kramer, che a loro volta davano attuazione alla bolla di papa Innocenzo VIII. Sebbene il papa avesse dato ai due monaci pieni poteri per svolgere incontrastati la loro opera di inquisitori contro il delitto di stregoneria in alcune regioni della Germania, il “Malleus” – come spesso erroneamente si crede – non discese dall’esplicita volontà papale. La ragione di questo equivoco è dovuta al fatto che il “Malleus Maleficarum” riproduce in apertura la bolla pontificia ed è introdotto da una “approbatio” attribuita a una commissione di teologi dell’Università di Colonia e di recente smascherata come un falso prodotto con la connivenza di un notaio, che all’epoca contribuì a dare al trattato l’imprimatur di opera teologicamente ineccepibile.
Ad ogni modo il trattato non fu mai inserito nell’indice dei libri proibiti, come accade, ad esempio, al “Manuale dell’Inquisitore” di Eliseo Masini, ricordato, soprattutto, per il suo ruolo attivo nell’Inquisizione tra Faenza, Mantova e Genova tra il 1596 al 1627.
La fama del “Malleus” fu seguita dal “De lamiis phitonicis mulieribus” di Ulrich Molitor del 1489 e dal “Compendium Maleficarum” del 1608 di Francesco Maria Guaccio.
Oltre a diffondere il pensiero e la paura della stregoneria nel mondo, dando corpo alla realtà diabolica delle streghe, questi trattati contribuirono a plasmare una visione fortemente misogina del mondo, nel quale la donna è colei che inganna, seduce e converte l’uomo al peccato; visione che, del resto, trovava fondamento nelle Sacre Scritture. Si pensi ad esempio alla Genesi nella quale Eva si fa tentare dal serpente e convince Adamo a disubbidire a Dio. Non a caso ad essere prese di mira erano spesso donne avvenenti ed emancipate. Queste, in particolari momenti storici dominati dall’incertezza politica, dalle guerre, dalle carestie e dalle epidemie, diventavano spesso il capro espiatorio rintracciato dai detentori del potere spirituale e temporale per giustificare le catastrofi. Le streghe, quindi, diventano fautrici di malefici e sortilegi che seminano discordia, provocano siccità, infruttuosità dei campi ed infertilità. Viene attaccato l’uomo nella sua virilità e si era convinti che l’incapacità di un uomo di procreare fosse dovuta al sortilegio di una strega che, in segreto, si era congiunta con lui, provocandone l’infertilità.
L’accusa di stregoneria era una tra le più frequenti in Sardegna, la cui cultura e tradizione, da sempre, si fondavano sul principio della potenza matriarcale. Fin dalle epoche più remote la donna era depositaria di un antico potere generatore che aveva dato origine ad un vero e proprio culto nei confronti della “madre terra”. Sradicare questo antico potere sarebbe stato impossibile senza una programmata, mirata e legittimata azione di demonizzazione da parte delle autorità ecclesiastiche e civili.
Nel suo libro “Stregoneria in Sardegna” Simonetta Delussu affronta la tematica della continuità dei culti di matrice pagana – soprattutto il culto dell’acqua in uso nelle civiltà preistoriche ed in particolare in quella nuragica – nella società e nella cultura del Medioevo e dell’Età Moderna. La conoscenza di antichi rituali di guarigione, la consapevolezza del potere terapeutico delle erbe, la creazione di antiche formule magiche chiamate “brebus” e il confezionamento di amuleti per proteggere uomini, donne e bambini costituiscono ancora oggi un’importantissima eredità che la cultura sarda ha difeso strenuamente, nonostante le torture, le persecuzioni e i continui tentativi di omologazione dei poteri centrali.
La Sardegna ha conosciuto l’azione repressiva dell’Inquisizione Spagnola, attuata soprattutto a partire dall’inserimento dell’isola nel Regno di Spagna, creatosi a seguito del matrimonio tra i re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia avvenuto nel 1475. Con il decentramento amministrativo del Tribunale del Sant’Ufficio a Cagliari nel 1492 ed il successivo trasferimento dell’organo a Sassari nel 1565, la gestione dell’Inquisizione in Sardegna viene affidata alle diverse diocesi. Esattamente come accadde nel resto d’Europa, la grande caccia alle streghe in Sardegna fu essenzialmente un’operazione giudiziaria. L’intero processo di scoperta ed eliminazione delle streghe, dalla denuncia alla condanna, si svolgeva nell’ambito e sotto il controllo dei tribunali, che hanno prodotto un grandissimo numero di documenti, attraverso i quali si può ricostruire la complessità di un sistema giuridico-amministrativo nonché di un fenomeno di ampia portata. Tuttavia ridurre l’Inquisizione ad un semplice tribunale religioso e la caccia alle streghe ad una semplice questione di natura dottrinale, non solo sarebbe estremamente riduttivo, ma profondamente sbagliato. Abbiamo una panoramica completa del fenomeno inquisitoriale nella cultura e nella società sarda dei secoli XV, XVI e XVII nei vari saggi di Salvatore Loi, che ha affrontato questa affascinante tematica da molteplici prospettive: “Streghe, esorcisti e cercatori di tesori: inquisizione spagnola ed episcopale”, “Inquisizione, magia e stregoneria in Sardegna” e “Inquisizione, sessualità e matrimonio”. L’autore ha raccolto centinaia di testimonianze documentarie dei vari archivi dell’Inquisizione spagnola portando alla luce interrogatori, denunce e procedimenti per stregoneria a carico di donne e uomini del tempo.
Da questi scritti apprendiamo che la vera affermazione di un fenomeno complesso come l’Inquisizione era legato non soltanto alla volontà di affermare l’ortodossia religiosa, ma soprattutto ad un insieme di meccanismi politici, economici e sociali che si concretizzarono in una legittimazione della moralità a molteplici livelli. Un altro elemento fondamentale per comprendere l’Inquisizione è l’azione repressiva esercitata in maniera capillare da tutti gli strati sociali. Non solo politici ed ecclesiastici, ma anche cittadini e persone comuni. Questo rendeva tutti, indistintamente, sia vittime che complici.
Per muovere un’accusa di stregoneria, infatti, era sufficiente una semplice denuncia. E a muoverla poteva essere chiunque, perfino un vicino di casa o addirittura un parente. Le denunce erano quasi sempre anonime e spesso erano fatte dalle stesse persone che si rivolgevano ad una “strega” per un problema reale. Frequenti, ad esempio, le denunce contro le “erbere” o le “fattucchiere”, oppure contro le levatrici. Il tramite tra l’accusatore e l’inquisitore era un comitato di delatori chiamati “famigli” (spie, autorità ecclesiastiche o civili), i quali avevano il compito di partecipare sia alla perquisizione sia alle indagini. Di solito le perquisizioni avvenivano a tarda sera o a notte fonda e si rastrellava da cima a fondo l’abitazione della donna denunciata. La perquisizione, solitamente, portava sempre agli esiti sperati rintracciando erbe, amuleti e simboli ritenuti magici. Al termine della perquisizione, la donna veniva condotta in catene in carcere, dove restava per tutta la durata del processo. Quest’ultimo poteva durare alcuni giorni ma anche alcuni anni, a seconda di come venissero svolte le indagini.
Difficilmente si scampava ad un’accusa di stregoneria e la maggior parte delle donne venivano impiccate o bruciate.
Una paura, talvolta incontrollata e dominata dalla superstizione, verso tutto ciò che era ignoto o semplicemente inspiegabile, causa di un disegno più grande la cui comprensione, spesso, in un’epoca dominata dall’ignoranza, finiva con l’essere demonizzata e trasformata in un maleficio.