Gabriele D’Annunzio ne rimase affascinato al punto da renderla celebre in un sonetto che restituisce perfettamente le impressioni del Vate in quella giornata di pioggia.
Sa Spendula, che significa “la cascata”, è generata dall’improvvisa caduta del rio Coxinas, che trae origine dalle vette di Santu Miali sul Monte Linas. Oltre 60 metri di altezza per un totale di tre salti di cui, il più maestoso, sfocia in una suggestiva gola di particolare pregio naturalistico, dominata da un’alta guglia rocciosa detta “Campanas de Sisinni Conti”.
Il momento ideale per ammirarla è l’Autunno, quando le prime piogge di stagione hanno fatto la loro comparsa ingrossando il torrente. In Primavera, invece, accanto allo scrosciare impetuoso delle acque, si assiste allo spettacolo della natura in fiore, che arricchisce di profumi questo luogo così speciale.
Gabriele D’Annunzio a Villacidro
Gabriele D’Annunzio, appena diciannovenne, intraprese un breve viaggio in Sardegna in compagnia di Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella con cui collaborava per la rivista letteraria e satirica Capitan Fracassa.
Era il Maggio del 1882 e tra i luoghi del soggiorno ci fu anche la cittadina del Medio Campidano. Qui, in compagnia di Ranieri Ugo, noto scrittore e giornalista cagliaritano, i tre furono accolti presso la casa del professor Giuseppe Todde, nel cuore del paese. Dopo pranzo decisero di fare una passeggiata e raggiungere la Spendula, incuranti della pioggia incessante, che tuttavia conferì al luogo un’aura misteriosa e affascinante, ben descritta dalle parole di D’Annunzio.
La poesia fu scritta proprio la sera del il 17 maggio 1882, al rientro dalla passeggiata, e fu pubblicata il 21 maggio 1882 nella rivista Capitan Fracassa.
Il soggiorno villacidrese, seppur breve, fu molto intenso non solo per D’Annunzio. Più tardi, infatti, da Roma Edoardo Scarfoglio scriverà queste parole:
“Villacidro, un pezzo di Svizzera sarda, un piccolo paradiso pieno di berrettoni neri e di saioni di pelle d’agnello e di caprari, accovacciato tra il Montiomo e il Cuccureddu”
Sa Spendula
Dense di celidonie e di spineti
le rocce mi si drizzano davanti
come uno strano popolo d’atleti
pietrificato per virtù d’incanti.
Sotto fremono al vento ampi mirteti
selvaggi e gli oleandri fluttuanti,
verde plebe di nani; giù pei greti
van l’acque della Spendula croscianti.
Sopra, il ciel grigio, eguale. A l’umidore
della pioggia un acredine di effluvi
aspra esalano i timi e le mortelle.
Ne la conca verdissima il pastore
come fauno di bronzo, su ‘l calcare,
guarda immobile, avvolto in una pelle.