Nella tradizione popolare esistono numerosi santi collegati a demoni e streghe. I santi resistono alle tentazioni terrene e sono portatori di valori e virtù come il coraggio, la pazienza, la fede. E tra le creature che popolano il mondo delle tentazioni, le streghe hanno spesso nutrito la paura popolare, diventando esseri mitologici scaturiti dall’azione di demonizzazione intrapresa dalla Chiesa e della Santa Inquisizione.
Tra i santi invocati per scongiurare il pericolo delle streghe, uno in particolare, San Sisinnio, ha avuto un’importanza indiscussa, soprattutto nell’area del Campidano, dove è maggiormente venerato.
La tradizione orientale presenta San Sisinnio come vincitore del diavolo tentatore e protettore delle madri e dei bambini dopo il parto. Secondo una diffusa credenza popolare, esisteva una creatura malvagia, la “surbile”, che nelle notti di luna piena si trasformava in un gatto, un serpente o uno sciame di mosche per introdursi furtivamente nelle case e succhiare il sangue dei neonati. La paura per questa “strega-vampiro” era diffusa in tutta l’isola e numerosi erano gli espedienti escogitati per aggirare questo pericolo. Le culle dei neonati venivano adornate con amuleti e rosari benedetti nella convinzione che questi rimedi potessero allontanare le creature maligne.
Ma perché invocare san Sisinnio?
Il culto di San Sisinnio si diffuse largamente durante il Medioevo. Numerosi documenti, tra cui il condaghe di Santa Maria di Bonarcado, citano più volte il nome di Sisinnio come santo “titolare” di alcune chiese. Ma è soprattutto nel Seicento che la fama di Sisinnio crebbe notevolmente, in particolar modo nel Campidano, quando il 17 Luglio del 1615 furono ritrovate le sue reliquie nell’area ipogeica dell’antica necropoli paleocristiana dove oggi sorge la chiesa di San Lucifero a Cagliari. Da questo momento il Sisinnio assunse connotazioni tipicamente locali e si cominciò a parlare di San Sisinnio di Leni, antico villaggio nei pressi di Villacidro che, secondo la tradizione popolare, avrebbe dato i natali al santo.
Secondo la tradizione, San Sisinnio era originario di Antiochia e fu ordinato diacono, ruolo che porto avanti con grande impegno e dedizione, compiendo numerosi miracoli ed opere di bene a vantaggio della comunità. Fu martirizzato nel 185 d.C. sotto il regno dell’imperatore Commodo, per mano di alcuni sicari inviato dallo stesso, i quali lo percossero e lo uccisero a bastonate.
Le sue reliquie sono custodite nel Duomo di Cagliari, tranne una costola, contenuta in una teca d’argento e accompagnata da un atto notarile, donata agli abitanti di Villacidro e conservata nella Primaziale di Santa Barbara.
Secondo la tradizione locale, il nome Sisinnio deriva da “sisini”, che significa “cigno”. Era credenza diffusa che il santo avesse una voce soave e melodiosa ed una bellezza paragonabili ad un cigno. In un’epigrafe trovata nel 1615 insieme alle reliquie, si leggeva, infatti, la parola “cinebit in pace”, che fu interpretata come “morto in pace cantando come un cigno”. Non è un caso che molti dei componimenti popolari a lui dedicati e chiamati “coggius” siano lodi cantate in rima. In questi componimenti San Sisinnio viene chiamato “su scongiuradori”, che significa “esorcista”, o “scacciacogas”, che significa “scaccia streghe” e si ricordano i suoi numerosi miracoli. Tra questi ci furono il salvataggio di due bambini dalle spire di un serpente e da un nugolo di mosche velenose.
Ancora oggi, la prima domenica del mese di Agosto, San Sisinnio viene celebrato con una grande festa campestre che si svolge nelle campagne di Villacidro adiacenti alla chiesa a lui dedicata.
Tra le rappresentazioni iconografiche più diffuse del Santo quelle in cui schiaccia con il piede un serpente con le fattezze di una strega che ha ancora un bambino in braccio o mentre trascina in catene un demone o una strega.
Una nota leggenda villacidrese racconta che San Sisinnio si trasformò in un grande ragno che divorò tutte le mosche presenti nel paese, liberandolo dal pericolo delle streghe nascoste nelle sembianze di questi fastidiosi insetti. Si dice che tutt’oggi, nei quattro giorni della festa a lui dedicata, in tutto il paese non si veda volare una sola mosca.
Eppure, ancora oggi, Villacidro è conosciuto come “sa bidda de is cogas”, cioè il paese delle streghe. Si ricorda, a tal proposito, un documentario andato in onda su RAI 3 il 30 Gennaio del 2000, nel quale ci si interrogava sui numerosi misteri legati a presunte connotazioni negative del paesino del Medio Campidano, oppure il servizio andato in onda su Videolina nel quale si parla anche di messe nere e satanismo. Vere o no, le credenze tutt’ora vive sulle streghe e sul maligno, continuano a nutrire un forte interesse che sembra dar valore alla tradizione di un passato non così lontano.
Celebre, parlando di streghe, è un “autodafé celebrato nel nel 1674 dall’Inquisizione Spagnola che condannava 5 streghe accusate genericamente di “superstizione”. Tre di loro, in particolare, furono condannate per aver ucciso dei bambini con “arti demoniache”. Un altro documento del 1744 scritto da Mons. Falletti dell’Arcidiocesi di Cagliari informava la Santa Sede circa le difficoltà di estirpare la pratica della magia e dei sortilegi, in relazione ai quali fu istituita la congregazione di San Filippo Neri.
Ancora nell’Ottocento, Vittorio Angius e Salvatore Manno riferiscono la consuetudine da parte delle donne villacidresi di invocare San Sisinnio per risparmiare i loro bambini dalle mire delle streghe che si nascondono nelle sembianze di donne comuni.
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