Si tratta di una serie di documenti tra cui cronache, poemi ed atti pubblici fatti risalire alla Cancelleria d’Arborea (da cui il nome) che tuttavia niente hanno a che fare con la celebre Carta de Logu della Giudicessa Eleonora e che furono definiti dall’archeologo Giovanni Lilliu una tra le pagine più imbarazzanti della storiografia sarda.
Correva l’anno 1845 quando il direttore della Biblioteca Universitaria di Cagliari Pietro Martini ricevette dalle mani del frate Cosimo Manca un’antica pergamena, quasi totalmente illeggibile. Dopo averla a lungo osservata, lo storico non ebbe la minima esitazione nel credere che si trattasse di un documento risalente al XIV secolo. L’entusiasmo della scoperta fu frenato dalla volontà scientifica di esaminare meglio il documento. Ma poche settimane dopo e negli anni successivi seguirono ulteriori ritrovamenti che finirono con l’arricchire il piccolo “corpus” di documenti gravitanti attorno alla storia dell’ultimo Giudicato sardo. Sembrava che finalmente, dopo tanto tempo, la storia della Sardegna medievale stesse per essere riscritta. E con una trama del tutto nuova.
Le Carte d’Arborea si riagganciavano cronologicamente alla figura della nota Eleonora e della sua corte, contribuendo a rafforzarne il mito e l’immagine gloriosa.
Ma la parte più interessante riguardava il fatto che in Sardegna fosse presente una produzione letteraria in volgare già nella seconda metà del Trecento, a dispetto dei vecchi studi che la rimandavano addirittura alla fine del Cinquecento. Questo fatto portava a ricostruire la guerra tra Aragona e Arborea come una stagione di resistenza, anche culturale, all’influenza iberica, rafforzata dagli stretti legami tra la Sardegna e la penisola italiana.
Tra le carte spiccava il cosiddetto Ritmo di Deletone, il documento più antico che spiegava come i sardi, alla fine del VII secolo, riuscirono a liberarsi dal dominio bizantino per poi istituire i quattro Giudicati. In questo contesto di ribellione ed insurrezione, emergeva in particolare la figura leggendaria di Gialeto, un personaggio fino ad allora completamente sconosciuto agli studiosi, che divenne poi giudice di Cagliari spartì ai suoi fratelli i Giudicati di Arborea, Gallura e Torres. Grazie al Ritmo di Deletone, quindi, era adesso possibile spiegare l’origine dei Giudicati e colmare un buco storiografico che andava avanti da secoli.
Per l’interpretazione di queste misteriose carte, Pietro Martini chiese supporto al noto paleografo e scrivano cagliaritano Ignazio Pillito, che prestava servizio presso l’Archivio Patrimoniale della città .
Quest’ultimo sembrava decifrare la scrittura per molti tratti illeggibile e compromessa con estrema facilità, portando lo studioso a convincersi dell’autenticità dei documenti. Ma non fu solo la presunta abilità del paleografo a convincerlo: la scrittura ed il linguaggio delle carte erano alquanto grossolani ed originali, segno inequivocabile della presunta incapacità da parte dei sardi di trascrivere l’antico latino.
In piena adesione allo spirito romantico che animava il fervore culturale ottocentesco, non solo i contraffattori delle Carte, tra cui Manca e Pillito in primis, ma anche i loro sostenitori, accarezzavano l’idea di un’illustre storia nazionale anche per la Sardegna. La questione dei “falsi” d’Arborea, infatti, si protrasse anche dopo la morte di Pietro Martini, avvenuta nel 1866.
In un clima fortemente proiettato verso un nascente spirito nazionalistico, si cercava di collegare la storia della Sardegna pur nelle sue molteplici dominazioni e con quella dell’Italia. Per volontà dei Savoia nel corso del Settecento si cercò di porre un freno alle trattazioni di natura storica sulla Sardegna, con l’obiettivo di affievolire il retaggio culturale tipicamente iberico che continuava a permeare la cultura sarda. Non è un caso, dunque, che proprio in un contesto sabaudo le Carte avessero trovato accaniti sostenitori, tra cui Carlo Baudi di Vesme e Alberto La Marmora, i quali riuscirono a far arrivare i documenti all’Accademia delle Scienze di Torino. Da qui, lo stesso Baudi di Vesme, nel 1869 strappò al celebre studioso tedesco di antichità Theodor Mommsen la promessa di far analizzare le pergamene all’Accademia delle Scienze di Berlino, al fine di ottenere una loro piena legittimazione. Dalla lunga corrispondenza epistolare tra i due si evincono numerose incertezze da parte dello studioso tedesco circa l’autenticità delle pergamene.
La conclusione della vicenda, il cui peso aveva ormai raggiunto una valenza internazionale, fu aspra ed inevitabile. La sentenza finale sulla contraffazione arriva ufficialmente il 31 gennaio 1870.
Baudi di Vesme, dal canto suo, non esita a dichiararsi poco convinto da quel giudizio, ma la gran parte degli eruditi sardi finì con l’accettare il verdetto, anche per non peggiorare ulteriormente la già scarsa considerazione che nutriva nei loro confronti l’ambiente accademico scientifico.
Tuttavia, nonostante la dura sentenza avesse posto un limite alla fantasia e ai sogni di gloria, la figura di Eleonora e del fantomatico giudice Gialeto subirono un’impennata notevole. Numerose furono le intitolazioni di vie e piazze ai due personaggi dell’epopea giudicale, così come fiorenti furono le commissioni di statue e monumenti. Tra questi, celebre è il monumento di Eleonora d’Arborea ad Oristano, opera scultorea dei due fiorentini Ulisse Cambi e Mariano Falcini. La statua della giudicessa fu inaugurata con la maggiore pompa e solennità possibile il 22 maggio 1881.
Nel basamento del monumento sono presenti due bassorilievi in bronzo che raffigurano la messa in rotta del campo aragonese nel Castello di Sanluri e la promulgazione della “Carta de Logu”.
La giudicessa d’Arborea, Eleonora de Bas-Serra, nacque nel 1345-1347 e morì probabilmente di peste, intorno al 1403-1404. La sua figura, legata alla promulgazione della nuova edizione della Carta de Logu nel 1392, oscilla costantemente tra storia e leggenda, legandosi indissolubilmente al periodo più glorioso e travagliato della storia sarda: il Medioevo giudicale.
L. Marrocu, Le carte d’Arborea: falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo
A. Mattone, Theodor Mommsen e le carte di Arborea