Eleonora d’Arborea de Serra Bas, nata probabilmente intorno al 1340, fu una delle figure più emblematiche della storia della Sardegna medievale. Ultima reggente del Giudicato di Arborea (uno dei quattro regni autonomi della Sardegna), governò con fermezza e acume politico in un’epoca dominata da tumulti e disordini, in cui la Sardegna era contesa da varie potenze straniere, in particolare la Corona d’Aragona.
Figlia di Mariano IV e sorella di Ugone III, principale erede al trono d’Arborea, Eleonora assunse il potere in un momento delicato per il giudicato, segnato da lotte interne e minacce esterne. L’ascesa al trono non fu facile, ma Eleonora riuscì a gestire il controllo del regno in maniera ferma e risoluta, facendosi amare dal popolo e al tempo stesso portando avanti rapporti diplomatici con i principali esponenti politici del tempo.
Nel 1376, a 36 anni (un’età decisamente inconsueta per l’epoca), andò in sposa al giovane rampollo Brancaleone Doria, nipote del celebre Branca Doria, personaggio di dantesca memoria, citato nel XXXIII canto dell’Inferno tra i traditori degli ospiti per aver ucciso, tra gli altri Michele Zanche. Da questi ebbe un figlio, Federico, che divenne a sua volta futuro erede al trono in seguito alla morte di Ugone III, ucciso durante una rivolta popolare nel 1383 insieme a sua figlia.
In base alla legge giudicale, una donna poteva diventare reggente del Giudicato in vece di un legittimo erede – un padre, un fratello o, in questo caso, un figlio – impossibilitato a portare avanti il compito per un periodo di tempo o definitivamente. Per questa ragione divenne tutrice del figlio minorenne Federico e, alla sua morte prematura, assunse direttamente il controllo. Il suo governo si distinse per una duplice azione: da un lato una vigorosa difesa dell’indipendenza del giudicato dalle ingerenze aragonesi, dall’altro un’importante riforma del diritto.
La sua opera più significativa fu la promulgazione e revisione della Carta de Logu nel 1392, un codice giuridico redatto in lingua volgare arborense sarda, ispirato al diritto romano-giustinianeo ma anche alle consuetudini locali. La Carta regolava aspetti civili e penali della vita quotidiana, con una particolare attenzione alla tutela dei più deboli, compresi i servi e le donne. Rimase in vigore fino al 1827, sostituito dal Codice Feliciano, segno della sua straordinaria modernità ed efficacia.
Nel 1421, con il definitivo passaggio del Regno di Sardegna alla Corona d’Aragona, il re Alfonso IV, detto il Magnanimo, confermò la Carta de Logu come legge ufficiale di stato e ne estese la giurisdizione a tutto il regno. L’importanza del codice legislativo promulgato da Eleonora ha resistito ai secoli proprio per la sua modernità in un’epoca – il Medioevo – nella quale si era assai lontani dall’attuazione di uno “stato di diritto“, cioè uno stato in cui tutti siano tenuti all’osservanza e al rispetto delle norme giuridiche, sviluppando il concetto di conoscibilità della norma, oggi fondamentale nella giurisprudenza. Ne è un esempio il fatto che il codice sia scritto in volgare sardo, la lingua parlata e conosciuta dal popolo, con l’obiettivo di essere compreso, conosciuto e rispettato dalla collettività.
Sul piano politico-militare, la politica di Eleonora riprende quella del padre, allontanandosi, invece, dall’autoritarismo del fratello Ugone, che proprio per il suo dispotismo fu ucciso e gettato in un pozzo. Eleonora coltivava apertamente il sogno di una Sardegna indipendente, in cui la sovranità del Giudicato d’Arborea fosse garantita dalla difesa dei confini istituzionali e dalla pace, fondata sulla legittimazione da parte del popolo, verso il quale si mostrò sempre aperta e propositiva attraverso l’elargizione di diritti e la promulgazione di leggi, come quelle contenute nella Carta de Logu.
Tali norme furono fondamentali per garantire pace e prosperità non solo per il Giudicato, ma in generale per tutti i territori sardi. Un esempio della politica di Eleonora è la celebre “pace di Arborea” che la giudicessa strinse con Giovanni d’Aragona nel 1388-1390 e che rappresenta la conclusione del lungo conflitto che nella seconda metà del Trecento vede fronteggiarsi in Sardegna la Corona d’Aragona e il Giudicato di Arborea.
Il conflitto, iniziato nel 1353 sotto Mariano IV d’Arborea, era dovuto al tentativo di espansione interna portato avanti dal giudice sardo, che aveva strappato agli aragonesi numerosi territori con l’obiettivo di creare un unico grande regno indipendente, che andava contro quanto stabilito dalla creazione del “Regnum Sardiniae et Corsicae” voluto da Papa Bonifacio VIII e dato in feudo a Giacomo II d’Aragona a seguito del Trattato di Anagni. Dopo anni di trattative ed accordi, la pace doveva garantire stabilità politica alla Sardegna e comportò, tra l’altro, la scarcerazione di Brancaleone Doria dalle carceri di San Pancrazio, dove si trovava rinchiuso da qualche anno.
Ad ogni modo, pur attraverso trattative diplomatiche e accordi negoziali non sempre favorevoli al giudicato, Eleonora si oppose sempre con decisione all’annessione alla Corona d’Aragona. Tuttavia, dopo la sua morte, avvenuta probabilmente nel 1404, la resistenza arborense si indebolì rapidamente, fino al definitivo assorbimento del giudicato nella compagine aragonese a seguito della Battaglia di Sanluri.
L’importanza storica di Eleonora non risiede solo nella sua straordinaria presenza come donna al potere in un contesto patriarcale, ma anche nella sua visione giuridica e nella capacità di governare con lucidità in un periodo di transizione e conflitto. La sua figura, a lungo trascurata dagli storici tradizionali, è oggi al centro di numerosi studi di storia giuridica, politica e di genere.
Bianca Pitzorno, Vita di Eleonora d’Arborea, principessa medievale di Sardegna
Francesco Cesare Casula, La Storia di Sardegna
Rita Coruzzi, La Giudicessa
Raimondo Turtas, La Sardegna dei Giudicati
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